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Lo scrivere difficile di Bufalino


Bufalino attribuiva alle sue opere il carattere di poemetti narrativi e fantamemorie, non di saggi, diari o romanzi, sostenendo che tra poesia e prosa i confini fossero fluidi e irriconoscibili. Parafrasando Paul Valèry, sosteneva che vi fosse un senso che vuole farsi suono e un suono che vuole farsi senso, confermando l'indole lirica dei suoi testi, in cui da un lato i suono prevale sul senso mente il senso aspira volentieri all'eroico e al sublime, sebbene corretti dall'ironia. Se anche i suoi eroi sono tenori, soprano o baritoni – raccomandava – ciò non toglie nulla alla verità della loro pena o passione.  
Bufalino è conosciuto unanimemente per la difficoltà della sua scrittura, e la metafora era il cibo della sua prosa. La sua la definisce una scrittura barocca, alla Borromini, cioè ornamentale ma funzionale nella sua ornamentali. Le sue metafore vogliono avere un plusvalore di adescamento, cercano il piacere contemporaneo dell'autore e del lettore, instaurando una complicità massonica. Una metaforicità così forte che l'ambiguità nei suoi testi regna, volontariamente, sovrana. Non ama ammettere che la gente ha capito circa il 40% di ciò che vuole dire ma ammette di non avere fatto nulla per aiutare i lettori. A Bufalino non interessa molto il gioco degli eventi e ammette di non saper essere un romanziere d'avventura. Ciò che accade è in funzione dei personaggi e delle loro parole; ciò che accade veramente è la parola, il suo vero personaggio è la parola. Persino la vita o la morte di un personaggio dipendono da un pugno di sillabe a cui non intende rinunciare. Gli aggettivi sono vitali per lui.  Altro carattere distintivo di Bufalino è il ricorso alla citazione, che serve non per copiare ma per prendere le distanze dal reale, per aizzare il lettore, per evocare una dimensione culturale viva in lui. I suoi personaggi sono niente più che proiezioni esterne dell'io poetante e il suo rapporto col lettore è difficile, soffrendo molto la paura e il disprezzo del lettore ignoto, che per un prezzo troppo basso, il costo del libro, può leggerlo, giudicarlo e magari buttarlo.
Bufalino ammette di avere dedicato moltissimo tempo alla retorica, allo studio dei suoi ingranaggi e alle funzioni che le sono prerogate. Il punto più delicato, dice, è l'innesto di questa impalcatura su una scrittura che sia egualmente serbatoio credibile di sentimenti e figure. L'opera è un frutto fatto di buccia (la scrittura) e polpa (figure, affetti, passione) che deve unire i due aspetti armonicamente. L'ironia, poi, anodizza, come una vernice protettiva, gli eccessi della macchina retorica, come i parossismi e gli abbandoni del cuore. Un libro di Bufalino è come un' opera di Le Corbusier: un progetto unitario che si evince dalle singole unità.

Tratto da LETTERATURA ITALIANA MODERNA E CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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