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Tommaso e il fotografo cieco - Bufalino -


Infine, in Tommaso e il fotografo cieco, la dinamica mnestica sembra a metà tra la memoria dostoevskijana del romanzo del sottosuolo e la riproduzione autocitazionistica di motivi e spunti già presenti nei precedenti romanzi. Questo Tommaso che scrive ininterrottamente di sé riattualizza nella sua scrittura l'egocentrica claustrofilia del personaggio di Dostoevskij, infarcendolo però di memorie e topoi di un immaginario personale bufaliniano che già si è fatto a sua volta letteratura: accenni alla Rocca e al ricovero terapeutico, le abusate considerazioni sul ricordo con l'esplicita ripresa della metafora della cecità, sfruttata in precedenza in Argo.
La cecità e la memoria però qui sono quelle di Tiresia, un ossimorico fotografo cieco che alla pratica della scrittura, che è di Tommaso, contrappone il salvifico artificio operato dalla sua Nikon. Tommaso e la sua scrittura però sopravvivono; Tiresia e le sue foto no. La scrittura è dunque l'unica forma ammissibile di memoria. Ma all'interno di questo assunto, che scrittura è quella di Tommaso? Quella di un memorialista – testimone magari non sempre attendibile alla lettera, o quella di un giocoliere della letteratura che manipola a piacere ricordi di altre scritture? Su questo Tommaso stesso sembra contraddirsi nelle ultime pagine, dicendo di essere un memorialista che manipola le vicende quel tanto che basta a farne una specie di fantanoir di cui ha già in mente il progetto, salvo poi aggiungere subito dopo che il progetto non è realizzabile per un imprevedibile ammutinamento di fatti e personaggi che recalcitrano di fronte all registrazione dell'accaduto da parte del memorialista. E il romanzo arriva a citare sé stesso, con Tommaso che parla della morte del fotografo cieco con un altro fotografo cieco, Martino; dopo avere argomentato le loro differenti opinioni, d'autore e di lettore, i due vanno al cinema e appena usciti Martino viene arrotato da una Kawasaki. Martino poco prima aveva smascherato le inverosimiglianze del racconto, sancendo la natura fittizia di quelle che non erano memorie ma invenzioni. La scrittura falsamente memoriale di Tommaso non cerca dunque di resuscitare vanamente il passato ma svelandosi apertamente come finzione stabilisce il proprio primato sulla vita vera. Il miracolo del Bis è allora forse possibile a condizione che il primum non sia il reale da trasfigurare nel ricordo ma una esplicita menzogna, anche letteraria, capace di trasfomare lo stesso presente dell'esistenza in un secondario déja vu.



Tratto da LETTERATURA ITALIANA MODERNA E CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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