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I Suenos e il periodo Satirico di F. de Quevedo y Villegas


I Suenos.
Nei primi tre Suenos troviamo la stessa galleria di personaggi. Quevedo, usando un espediente noto già all’antichità classica e al medioevo, finge di vagare in sogno nell’aldilà, dove viene edotto dei vizi e delle colpe dei morti, trapassati e contemporanei. Il sogno è ovviamente tema importantissimo del barocco. Il quarto Sueno, El mundo por de dentro, è il più filosofico. La funzione di rivelare verità amare è stavolta affidata ad un vecchio allegorico Saggio, anziché a diavoli e dannati, che prende il nome di Disinganno, incontrato dall’autore sempre nell’aldilà, popolato di vie e viuzze intitolate ai diversi vizi umani; la strada principale, che incrocia tutte le altre, è quella dell’Ipocrisia, considerata da Quevedo il peggiore dei mali, la radice di tutti gli altri. È significativo qui il parallelo tra ipocrisia del trucco femminile e ipocrisia degli orpelli stilistici dei poeti d’amore culterani, che travisano le fattezze femminili delle donne oggetto del loro cantare, sclerotizzandole in forme ridondanti e meccaniche. Il parallelismo ben esemplifica due delle direttrici tematiche dell’opera di Quevedo: misoginia e polemica letteraria anticoncettistica. Il Sueno de la muerte, l’ultimo della serie (1622) approfondisce la polemica letteraria in maniera diversa: qui Quevedo passa in rassegna  i luoghi comuni del linguaggio colloquiale, con le frasi fatte e i modi sentenziosi e proverbiali; a questi ultimi il poeta dà una vita vera e propria, suggerendo l’uso della lingua popolare, flessibile e sempre nuova, rispetto alle sclerotizzazioni ricercate dei poeti della nuova scuola.   
Il periodo satirico.
Al decennio 1613 – 1623 appartengono i libri più specificamente letterario – satirici di Quevedo. In Aguja de navegar cultos, componimento brevissimo, si scaglia, stavolta più letterariamente, contro la meccanicità del linguaggio poetico culto, e sul carattere venale degli orpelli stilistici gongorini, di cui fornisce polemicamente un elenco, fatto di latinismi e crudi neologismi, indirizzati a chiunque volesse intraprendere la strada dell’odiato Gongora. Quevedo parla anche delle botteghe di poesia, forse influenzato dall’opera di Traiano Boccalini, e ne elenca varie specie: la rigatteria dei soli, la bigiotteria dei cultos, gli spacci dei poeti ortolani e i poeti frigorifero. Ne La culta latiniparla invece se la prende con l’oscurità linguistica delle dame che si sono fatte influenzare dal cultismo dell’epoca.

Tratto da LETTERATURA SPAGNOLA di Gherardo Fabretti
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