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La fase dell'esperpento di Ramon Del Valle -Inclàn


Con Farsa y licenzia de la reina castiza, del 1920, inizia la fase esperpentica di Valle – Inclàn. Un quadro farsesco della monarchia isabellina dove la deformazione dell’umano viene osservata nel mondo dei potenti della capitale e rovesciata nella scrittura e nella tecnica teatrale. La società e i potenti diventano il contenuto apparente, pretesti invece per un discorso che li trascende e che si proietta libertariamente verso un futuro lontano e utopistico quanto il passato della fase carlista. La malinconia delle Sonatas scompare, e al suo posto troviamo violente stonature, uso grottesco della parola, irrigidimento dei personaggi in meccanici gesti da burattini.
Sono i burattini una delle nuove sorgenti dell’ispirazione dello scrittore. Lo si teorizza esplicitamente nel prologo e nell’epilogo di Los cuernos de don Friolera, il più perfetto dei quattro testi che portano il sottotitolo di Esperpento. Qui don Estrafalario e don Monolito, due intellettuali vagabondi, discutono di estetica durante una festa popolare ai confini del Portogallo. Valle – Inclàn attraverso la bocca di don Estrafalario enuclea i fondamenti della sua estetica esperpentica. Il discorso si sposta sul teatro e Valle – Inclàn esalta il teatro di tradizione cantabrica, portoghese e catalana, la morale e il senso dell’umorismo, contrapponendolo all’onore teatrale e africano di Castiglia, alla fredda, dogmatica, antipatica crudeltà che esso comporta. Proprio sulla linea di una totale demolizione della tradizione, sulla linea di una luciferina coniugazione tra conoscenza e desiderio, nasce la figura del tenente dei carabineros soprannominato Friolera.
Friolera si muove per una serie di stimoli automatici ma finisce per divenire un personaggio tragico: mente annuncia al colonnello di avere finalmente lavato l’onore della sua offesa, apprende di avere ucciso la figlia.  La poetica esperpentica si completa e si esplicita in Luces de bohemia, del 1924. La storia di Max Estrella, scrittore d’avanguardia divenuto cieco diventa il pretesto simbolico per una serie di scene e di discorsi; licenziato dal suo giornale, esce di casa a cercare soldi e sfiora così vari mondi: taverna, circolo dei poeti modernisti, strada con scontri tra scioperanti e forze dell’ordine, carcere, dove viene tradotto per schiamazzi, e infine l’ufficio del Ministero degli Interni, che scopre essere un suo vecchio compagno di studi e che lo gratificherà con un dono in denaro. Umiliato e disperato, continua a girovagare nel freddo e muore per la strada, mentre, moribondo, espone al suo compagno la teoria dell’esperpento. Dato che la tragedia è divenuta impossibile, ad essa si sostituisce una ricerca che ha come precedenti Goya, e come compagni sconosciuti gli scrittori dell’avanguardia post bellica.
Questo teatro esperpentico, giudicato irrappresentabile quando comparve, e poi rappresentato, negli anni ’60, con tardivo successo, è un teatro sperimentalista tra le cui righe si colgono continuamente sorprendenti intuizioni delle possibilità espressive del cinema, per la capacità di cambiare velocemente scena, per la cura con cui le didascalie si attardano sui particolari e sui primi piani. Il continuo spostamento di piani mette allo scoperto anche la realtà più profonda impedendo allo spettatore di rimanere passivo, costringendolo a prendere coscienza della inautenticità del mondo in cui vive.
I romanzi del 1917, che in teoria avrebbero dovuto essere nove, divisi in tre serie, e che in realtà furono solo due e mezzo, presentano personaggi ormai vuoti, segno di una realtà che lo scrittore giudicava morta. Una critica oggettiva e distaccata che fa di Valle – Inclàn un grande del Novecento letterario.

Tratto da LETTERATURA SPAGNOLA di Gherardo Fabretti
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