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La terza e ultima fase di Unamuno


Nel 1913 esce il suo saggio più significativo: Del sentimiento tragico de la vida en los hombres y en los pueblos. Il punto di partenza è il tema della “coscienza come malattia”, una malattia mortale. Da questo Unamuno parte per dimostrare che le fondazione del sentimento tragico della vita risiede nella fame di immortalità. La parte centrale del saggio è dedicata all’esame delle fondamentali risposte date al problema della morte: quella cattolica, quella borghese e altre, per poi concludere con la riaffermazione della pratica della disperazione (concezione agonica e sentimento tragico dell’esistenza) come unica risposta autentica all’assurdità della condizione umana.  In questa fase di estrema tensione, Unamuno scrive anche il suo romanzo più importante, Niebla, nel 1913. La tecnica abbozzata in Amor y pedagogia, qui si fa più netta: Unamuno elimina ogni elemento spazio – temporale, e narra la storia di una personalità, quella di Augusto Pèrez, che lotta inutilmente per salvare la sua personalità inesistente fino a quando il filosofo Unamuno non gli rivelerà che egli altro non è che un personaggio della sua penna e morirà quando l’autore si dimenticherà di lui.
Augusto si ribella pirandellianamente e ricorda che anche Unamuno è nella stessa condizione, e morirà quando sarà Dio a smettere di pensarlo. Ecco lo sconsolato ritratto unamuniano di un mondo senza senso.       
Lo scoppio della Grande Guerra fa piombare Unamuno in una profonda angoscia. La Spagna rimase estranea al conflitto mondiale, così Unamuno non ebbe esperienza diretta della guerra, limitandosi a fare l’inviato sui fronti occidentali, ma fu un’esperienza comunque diversa, anche se rimase anche per loro un episodio che generò un profondo processo di crisi. Furono loro, infatti, i testimoni del fallimento di quel razionalismo in cui tanto credevano, mentre la Spagna andava incontro ad un rapido processo di accelerazione della vita economico – sociale.
La vita che in Spagna era rimasta identica a se stessa, ora si trasforma e si deforma, sollecitando gli scrittori a inventare forme capaci di esprimere e dominare questo processo.
Unamuno, nella placida Salamanca, continuava a riflettere e a scrivere, nonostante crescesse in lui un forte senso dell’assurdo. Nel dibattito bellico sulla neutralità, si schierò, coerentemente con la sua svolta liberale, con gli Alleati.
Nel 1917 esce Abel Sanchez, scritto in parte in terza persona e in parte in prima persona (quella della confessione ritrovata tra le carte del protagonista dopo la morte). Questa è la storia di un dannato, di un caso limite di disumanizzazione, di una vita cristallizzata intorno all’odio. È un romanzo dell’assurdo, nel senso che si alimenta di una lacerazione totale e insanabile, simbolo, attraverso un particolare destino, di una tragedia più vasta. Non a caso Unamuno usa il mito di Caino e Abele, che è mito della divisione del lavoro. Più tardi dirà Unamuno del suo romanzo, che esso è la tragedia della nostra borghesia intellettuale.
Nel 1920 escono le Tres novelas ejemplares, tre lungi racconti di argomento erotico – familiare. Nel clima degli anni ’20 Unamuno restò isolato e offuscato però dalla personalità dei nuovi scrittori e ideologi, primo fra tutti Ortega. Durante la dittatura filo – fascista del generale Primo de Rivera, divenne il leader del movimento di opposizione e per questo fu spedito in esilio a Fuerteventura, un esilio che amplificò enormemente la sua fama. Liberato da Jean Cassou e portato a Parigi, fu accolto trionfalmente, anche se don Miguel non amava molto i francesi e si chiuse ben presto in un alberghetto, a scrivere e a covare la crisi che lo aveva riafferrato, ora che era lontano dalla moglie Concha e dalla sua amata Salamanca.

Tratto da LETTERATURA SPAGNOLA di Gherardo Fabretti
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