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I Caratteri e le accuse al teatro senecano


Non si sa nulla sulle modalità di rappresentazione delle sue opere e molti studiosi hanno teorizzato che la loro destinazione fosse spiccatamente letteraria, più destinata alla lettura (prima a fini pedagogici durante il regno di Nerone e poi come fonte di riflessione per gli amici del circolo stoico dopo l’abbandono di Nerone) che alla rappresentazione scenica; tutte erano comunque potenzialmente rappresentabili. Tra l’altro la macchinosità di alcune scene e la forte caratterizzazione macabra e truce non si prestava ad una semplice lettura: per colpire veramente il pubblico dovevano essere visivamente rappresentate. La trama generale prevede sfondi macabri e cupi fino al più totale parossismo all’interno dei quali i personaggi combattono contro le forze maligne e contro la propria mente – lacerata nel conflitto tra ciò che è bene e ciò che è male, tra ciò che si vuole fare e ciò che si deve fare –: la lotta investe non solo i personaggi ma il mondo intero, l’intero cosmo si spacca e brucia combattendo il male appigliandosi con tutte le forze a tutto il bene che gli resta.

Dibattito sul teatro di Seneca.

Si è ipotizzato che le tragedie non fossero altro che la rappresentazione esemplare della dottrina stoica del filosofo, una sorta di exempla esplicativi ma la teoria non regge: il logos stoico, massimo organo armonizzante del cosmo, qui viene sconfitto, incapace di frenare le passioni umane prima della caduta definitiva e di sconfiggere il male nelle sue svariate forme.
Il male si manifesta soprattutto incarnato nella figura del tiranno: personaggio truce e sanguinario, più bestia che uomo, ha eliminato ogni traccia di umanità dalla sua persona, scevro da ogni atteggiamento di clemenza vive nel dolore e nell’angoscia perenne. È chiaro che un personaggio del genere offriva a Seneca molti  spunti per la sua riflessione etica sul buon governo.
Seneca nel comporre le sue tragedie si riallaccia senza dubbio alla tradizione drammatica greca ma nei confronti di essa non si limita ad un mero lavoro di imitazione; procede invece ad una vera e propria rielaborazione dei testi da cui ha preso spunto (la crudezza di alcune scene erano inimmaginabili al tempo di Eschilo o di Euripide!) giungendo ogni volta a  risultati diversi e originalissimi. Il linguaggio tragico è ripreso dalla tradizione poetica augustea (Ovidio soprattutto) e la metrica è molto simile a quella oraziana. Tracce di ispirazione latina arcaica le troviamo nel linguaggio dei personaggi, nel pathos esasperato delle loro espressioni e nell’uso icastico delle frasi: le massime, dette sententiae, erano una costante nelle tragedie senecane.

Accuse al teatro senecano.

L’accusa più frequente che viene rivolta a Seneca è l’uso di una retorica esplicitamente asiana: la continua tensione, le tinte fosche e pesanti anche per chi legge, l’enfasi declamatoria e lo sfoggio di greve erudizione sono imperanti nelle sue tragedie. In particolare l’esasperazione drammatica si manifestava tramite l’uso frequentissimo di digressioni: quadri a se stanti dalla tragedia e con una letterarietà propria, di lunghezza esorbitante per i canoni dell’epica e della tragedia classica.
I toni macabri e terrificanti, i paesaggi inquietanti e pesantissimi, le frequenti digressioni, sono gli elementi che più avvicinano Seneca al gusto letterario novecentesco e costituiscono un documento letterario prezioso.   

Tratto da LINGUA E LETTERATURA LATINA di Gherardo Fabretti
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