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La Grecia e la dominazione turca - 1455 -


La conquista franca declinava, senza che l’impero avesse ripreso la sua vitalità e la sua unità. Il frazionamento politico delle terre dell’impero porta ad una dispersione dei centri di cultura, e al loro isolamento e disorientamento, dovuto al prevalere di influenze diverse. Poi, tra Oriente e Occidente, si inserì la minaccia turca. Indebolita, isolata, Bisanzio fu alla fine sommersa. Si iniziò allora (1453) per la Grecia continentale la lunga notte!
La sottomissione politica all’Islam segnò per i greci e gli altri popoli balcanici, nell’economia l’avvilimento al più basso tenore di vita, nella cultura il livellamento al folklore. Non si trattava solo di vivere senza diritti politici in uno stato feudale e barbarico, ma di vedere accampati sul proprio suolo i dominatori, soggiacendo sempre in servitù al loro arbitrio e capriccio.
La Chiesa greca, custode di tutto il patrimonio spirituale della nazione, e riconosciuta dai sultani in questa funzione di rappresentante dei sudditi greci e di garante della loro fedeltà, era orientata verso il passato, ed era conservatrice non solo per la religione ma per la cultura. Il patriarcato rimane così, negli anni della turcocrazia, il faro nelle tenebre, l’unica guida spirituale della nazione greca, e il custode della tradizione bizantina.
Perdurano gli influssi della cultura occidentale. Domina nell’Arcipelago, attraverso Venezia, l’influsso della cultura italiana.
L’opera più rappresentativa della cultura cretese, il poema dell’Erotocrito, è il frutto maturo di germi letterari seminati sul suolo greco negli anni della conquista latina. Si sono così aperte sin dalla metà del secolo XV, per il popolo greco, due strade, che sono anche due direzioni, due orientamenti spirituali.
Tra i canti popolari neogreci di sicura origine bizantina, bisogna ricordare “La Canzone della Liojenniti”. La protagonista (la nata dal Sole o forse la nata nella luce o splendore) è una bellissima creatura, di alto rango, che vive sola in un fantastico palazzo.
Ma il popolo cantava anche, com’è naturale, per esprimere se stesso, per dare voce all’amore, agli affetti domestici, al ricordo e al rimpianto di cari scomparsi. Un manoscritto del British Museum, scritto intorno al 1450, e probabile copia di un manoscritto più antico, ci conserva poesie popolari d’amore di età bizantina. Un esempio è il “Compianto sulla caduta di Costantinopoli”, nel quale il popolo raccoglie l’eco del grande evento ed esprime la sua fede nell’avvenire.
Documento di una prosa popolare fresca e viva, da ascrivere allo scorcio del secolo XVI, si deve riconoscere nella anonima “Cronaca dei Sultani di Turchia”, della quale Giorgio Zoras ci ha fornito un’edizione critica integrale dal codice Barberini 111 della Biblioteca Vaticana. In un greco sgrammatico ma spontaneo e di singolare efficacia espressiva vi si narra la storia dei sultani turchi dal 1373 al 1513, da Murat I a Selim I. Manca però la fine e il codice rende difficile ogni congettura sull’ignoto autore che non è capace di scrivere secondo grammatica.
La conoscenza che egli mostra dell’italiano e del turco fanno pensare ad un suddito greco dei domini veneti dell’Arcipelago.

Tratto da LINGUA E LETTERATURA NEO-GRECA di Gabriella Galbiati
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