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Gadamer – La patria è la patria linguistica


La terra natia non è solo un luogo in cui si risiede, per Schelling è qualcosa di immemorabile. La vita in esilio è accompagnata dal pensiero della terra natia, e anche del ritorno, persino quando il ritorno è impensabile. Della immemorabilità della terra natia fa parte soprattutto la lingua. Lo insegna già la breve esperienza del viaggiare. Se si fa ritorno da un paese straniero, dove si parla una lingua diversa, l’incontro improvviso con la propria lingua materna suscita sconcerto.

La lingua materna conserva per ciascuno qualcosa di quell’immemorabile essere a casa, e questo vale perfino per il poliglotta. Chi però ha il destino di vivere in esilio condurrà una vita scissa tra il voler dimenticare e il serbare la memoria. Vivere vorrà dire trovare asilo in una lingua. Non poter più ascoltare la propria lingua vuol dire prendere commiato dal legame che il linguaggio stringe fra gli uomini. E’ questo lo sfondo umano di ogni esilio. La patria è la patria linguistica.

Al ritorno dall’esilio, entrambi gli interlocutori di un dialogo sono messi di fronte al compito di trovare una nuova identità. Per quanto grande possa essere la forza dello spirito e del cuore, l’essere umano non può recuperare il tempo, Il tempo ha lasciato su entrambi un’impronta, modificandoli. Spira un alito di estraneità ovunque si faccia ritorno. E’ come se in esilio ciascuno si trovasse di fronte al compito originario dell’essere-nel-mondo, che è quello di superare l’estraneità.

Tratto da LINGUAGGIO di Domenico Valenza
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