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"Le streghe" e "Lo straniero" di Visconti


La firma di Visconti appare a inizio 1967 tra le molte dei titoli di testa del film Le streghe, film in cinque episodi (gli altri sono diretti da Bolognini, De Sica, Pasolini e F. Rossi), di cui il regista dirige il racconto d’apertura. La strega bruciata viva racconta le vicende di una diva e del suo zoo di vetro esistenziale e mondano: bene interpretato da Silvano Magano e d’ispirazione zavvattiniana come il corto dedicato alla Magnani in Siamo donne, benchè molto più circoscritto per qualità e portata rispetto al breve film del 1953.
LO STRANIERO
Sempre nel 1967 Visconti firma il suo maggiore insuccesso cinematografico, Lo straniero, tratto dall’omonimo romanzo di Albert Camus e presentato nuovamente al Festival di Venezia. Visconti rimane molto fedele al romanzo di partenza, ad eccezione di quanto fatto con altre sue opere di derivazione letteraria (ad eccezione de Il Gattopardo). L’estrema fedeltà è dettata sia una convinzione di Visconti che dalla vigile scorta armata che la vedova Camus, Francine, fa all’inviolabilità e intangibilità del mondo poetico e filosofico camusiano, pretendendo e ottenendo contrattualmente di controfirmare ogni parola del copione. È quindi una scelta indurita dall’immissione forzosa (voluta dalla vedova Camus) di un cosceneggiatore al tempo stesso ispettore e garante della fedeltà letteraria, Emmanuel Roblès.
Ma è a ridosso della lavorazione che l’opzione di assoluta e quasi sacrale fedeltà appare complicata in Visconti dalla consapevolezza che l’Algeri coloniale del 1938-39 non esiste più e che, anche alla luce di quanto avvenuto in Algeria nel frattempo, certe situazioni sono mutate. Visconti si convince, come del resto aveva sempre fatto in precedenza, che un film tratto da un romanzo deve rileggere e non semplicemente illustrare su grande schermo la fonte letteraria. Ma ormai a Visconti, così blindato nella prigione di una fedeltà che ammette solo marginali trasgressioni, non resta che realizzare, il più professionalmente possibile, un’illustrazione del testo letterario. Un testo complesso e difficile che non si presta alla semplice illustrazione senza banalizzare il tutto, prestando all’uomo assurdo Meursault il volto da brav’uomo di Matroianni, dando al flusso inesorabile del tempo la dimensione pseudo realistica del cinema di consumo (con un flashback che attraversa mezzo film) e fornendo quindi un’illustrazione di buona fattura inevitabilmente riduttiva e fine a se stessa.

Tratto da LUCHINO VISCONTI di Marco Vincenzo Valerio
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