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La storia pittorica di Lanzi


All’interno del Giornale de letterati di Pisa venne anche recensita la prima edizione della Storia Pittorica di Lanzi (di cui fra l’altro ne fu un collaboratore, grazie alla sua profonda conoscenza del mondo romano – vennero infatti pubblicati diversi articoli sul museo borgiano e sugli studi da lui promossi) non appena pubblicata, nel 1792, di cui piacque il “sistema della storia”, ovvero la combinazione tra visione storica generale erudizione particolare. Scritta per un “lettor filosofo” la Storia Pittorica veniva giudicata esemplare dei nuovi indirizzi storiografici promossi dal Giornale. È opportuno evidenziare una differenza sostanziale nei due ambienti culturali di Roma e Firenze: si noti come nel primo caso si progettavano cataloghi eruditi, la cui compilazione poteva durare anni (si pensi ad esempio al catalogo del Museo Pio-Clementino, iniziato da Giovanbattista Visconti e poi proseguito dal figlio Quirino, durata 25 anni). A Firenze invece, sotto il regno di Leopoldo, l’attenzione per lo studio erudito si arricchiva della riflessione sulle forme di comunicazione del sapere; tale attenzione significò la produzione di manuali, storie compendiosi, sintesi critiche, enciclopedie e dizionari, tra cui si situa appunto la Storia Pittorica di Lanzi. All’interno vi confluiscono le due linee guida recepite da Lanzi nei soggiorni romani e fiorentini: l’opera infatti è insieme un manuale per intendere la storia della pittura italiana, ma è anche un monumento di erudizione sistematico. La Storia Pittorica intendeva essere anche una sintesi ragionata della letteratura artistica italiana, dalla Storia naturale di Plinio, alla Storia dell’Arte Antica di Winkelmann, alla Storia della pittura veneta di Zanetti, ma rispetto al Winkelmann che, guidato da un’estetica neoclassica è teso alla ricerca di opere tese ad esaltare il bello (anche se al contempo accetta la storia evolutiva degli stili secondo coordinate cronologico-geografiche), Lanzi
deve poco all’estetica neoclassica, piuttosto alla storia, alle lingue, rimane cioè ancorata ai fatti; per lui infatti, la comprensione dell’opera figurativa è legata alla conoscenza della storia degli stili e non all’astratta idea di bellezza. L’opera di Tiraboschi – Storia della letteratura italiana, che inquadrava in realtà la storia delle scienze, delle arti e degli archivi e biblioteche – e l’enciclopedia erano i riferimenti per la Storia Pittorica; tale doveva essere anzitutto un compendio che favorisse attraverso un metodo la concatenazione delle idee. La prima edizione della Storia del 1792 si presentava come un manuale storico, un compendio che si proponeva di insegnare un metodo per imparare a vedere la pittura italiana, ma l’accrescimento quantitativo delle informazioni, un più dettagliato e complesso quadro di riferimento, uniti alla visione diretta delle opere, trasformano la storia compendiosa in Storia Pittorica dell’Italia della seconda edizione del 1795, non più un libro per un lettor filosofo, bensì un libro elementare che inaugura un nuovo disegno storico dell’arte italiana: l’opera organizzata infatti per scuole pittoriche, rivalutava i primitivi come momento iniziale di una storia unitaria che culmina nel Rinascimento e giunge fino ai suoi giorni, e attraverso la divisione in scuole, epoche, artisti, brevi definizioni degli stili, si proponeva di essere un libro elementare per lo studio della storia dell’arte, ovvero con un intento prevalentemente didattico.

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