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Il riporto delle perdite


Art.84: se si ha una perdita può essere utilizzata per ridurre l’importo del reddito complessivo dei periodi d’imposta successivi, ma non oltre il quinto.
Questo articolo è fondamentale per un tributo che si basa sul principio della capacità contributiva. Consente infatti si raggiungere un ragionevole compromesso tra le esigenze in campo: quello dell’erario, di un prelievo periodico, e quello del contribuente, di un prelievo giusto.
Comma 1: delinea un riporto in avanti limitato. È illimitato, ai sensi del comma due, solo l’importo di perdite relative ai primi tre periodi d’imposta in modo da agevolare le imprese appena create che hanno perdite fisiologiche. Non può però essere applicato per società che sono state costituite quali contenitori per un’attività economica già avviata poiché le eventuali perdite non possono essere considerate fisiologiche.
In regimi di esenzione: non può essere oggetto di riporto la parte delle perdite che  è attribuibile alla mancata inclusione tra gli elementi positivi di reddito di proventi esenti dall’imposta (eccezione: plusvalenze art.87). Questa regola è in contrasto con il principio di inerenza poiché imputa ai proventi esenti costi ad essi non riferibili, con l’unico plausibile intento di cancellare l’agevolazione loro riservata.
È invece coerente al principio di inerenza il principio secondo cui (art. 83) le perdite subite nell’esercizio di attività che fruiscono di regimi di esenzione totale o parziale assumono rilevanza nella stessa misura in cui assumerebbero rilevanza i relativi redditi. Questo principio impedisce alle perdite di ridurre l’imponibile di esercizi futuri di un importo pari a quello dei redditi che hanno goduto dell’agevolazione. L’effetto è quello di azzerare l’agevolazione come se le perdite prodotte dalla gestione esente si fossero compensate con i redditi prodotti dalla stessa gestione.
Il riporto delle perdite viene meno se ricorrono due condizioni:
- Trasferimento della maggioranza dei diritti di voto della società;
- Modifica dell’attività principale esercitata dall’impresa nel periodo d’imposta del trasferimento, o nei due successivi o anteriori.
Questa regola ha lo scopo di evitare che una società possa essere oggetto di commercio in ragione proprio della sua dotazione di perdite fiscalmente riconosciute. La preclusione scatta a partire dall’esercizio in cui entrambe le condizioni sono soddisfatte. Quindi le perdite che incappano nell’intervallo di tempo tra il mutamento del primo e il mutamento del secondo possono essere riportate. Il divieto inoltre non opera quando la società, nel biennio precedente a quello di trasferimento, abbia avuto almeno 10 dipendenti, e che dal suo conto economico relativo all’esercizio precedente a quello del trasferimento risultino un ammontare di ricavi dell’attività caratteristica e un ammontare di spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi superiore al 40% di quello risultante dalla media degli ultimi esercizi anteriori.
Non è invece contestabile dall’amministrazione la pratica di consumare le perdite, in prossimità della scadenza, attraverso atti di realizzo posti in essere a tale specifico fine anche se fatte infragruppo. Questo accade perché tale consumo non concede alla società di poterle sfruttare successivamente alla scadenza e quindi non aggira alcun divieto fissato dall’ordinamento.

Tratto da MANUALE DI DIRITTO TRIBUTARIO di Andrea Balla
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