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Mutamento di atteggiamento dei pazienti nei confronti della Sanità


All'inizio degli anni '90 questa maggior consapevolezza dei propri diritti da parte dei cittadini e l'evoluzione della normativa e degli orientamenti giurisprudenziali concorrono all'avvio di un nuovo fenomeno: l'aumento del numero di denunce nei confronti di medici da parte di pazienti o di loro familiari. Un fenomeno che ha causato per il medico due conseguenze:
1.    la necessità di affrontare un iter processuale gravoso, penoso sotto il profilo morale e dannoso per la propria reputazione professionale;
2.    un danno patrimoniale dovuto al costo per sostenere il processo, alla diminuzione della capacità lavorativa a causa dello stress e del danno di immagine e, infine, ai costi da sostenere nel caso venga riconosciuto un risarcimento al paziente o ai suoi familiari.
E' opportuno notare che l'adozione di un atteggiamento difensivo non caratterizza  solo i soggetti colpiti dall'evento traumatico, ma interessa un'intera categoria, dal momento che i suoi componenti si sentono maggiormente esposti al rischio di denuncia da parte dei pazienti. Il diffondersi di un atteggiamento difensivo deve essere guardato con preoccupazione soprattutto quando finisce per influenzare il medico nella scelta della terapia, portandolo ad attribuire maggior valore a considerazioni relative alla riduzione del proprio rischio professionale piuttosto che alle effettive condizioni del paziente.
Fino agli anni '60, l'accertamento della responsabilità del medico si caratterizza per un orientamento generale che ravvisa la colpa esclusivamente in caso di errore inescusabile.
Nel 1978, una storica sentenza della Corte di cassazione, segna l'adozione, da parte dei giudici italiani, di criteri di giudizio progressivamente più favorevoli ad accogliere le esigenze di tutela dei pazienti. In particolare, viene operata una distinzione tra l'attività di c.d. Facile esecuzione – per la quale si individuava una sostanziale presunzione di responsabilità per il professionista – e l'attività di difficile esecuzione – dove la colpa del professionista deve essere dimostrata.
Il criterio in base al quale viene valutato il grado di difficoltà del trattamento è di tipo essenzialmente oggettivo: i parametri di riferimento sono il livello di avanzamento della ricerca scientifica e tecnica e non il grado di preparazione medica del singolo medico. Viene preso poi in considerazione il fattore prevedibilità, ovvero la possibilità di iscrivere il caso clinico nelle categorie già note della scienza e della pratica.
Nell'ambito dell'accertamento della responsabilità e dell'obbligo del risarcimento, il nodo essenziale diventa la possibilità di stabilire l'esistenza di un nesso di casualità tra la condotta e l'evento dannoso. La giurisprudenza ha affermato che il rapporto di casualità può ritenersi provato ogni qual volta sia accertato che una condotta diversa avrebbe avuto una sufficiente probabilità di successo.
Una volta accertata la risarcibilità del danno rimane comunque aperta la questione della quantificazione del risarcimento. Alle categorie del danno patrimoniale e del danno morale, si aggiungono il danno biologico, che ha trovato un riconoscimento nell'ordinamento giuridico italiano con una sentenza del 1986 della corte costituzionale. Il danno biologico, in quanto lesivo del diritto alla salute tutelato dalla costituzione, deve essere considerato risarcibile indipendentemente dalle conseguenze sulla capacità di produrre reddito, proprio perchè l'integrità fisica è un bene in se stessa. Sono emerse poi nuove figure di danno, come il danno psichico (come patologia) e il danno esistenziale (mira a tutelare coloro che hanno subito uno sconvolgimento della vita quotidiana, a prescindere dall'esistenza di una violazione della loro integrità psico-fisica. Il danno consiste nell'alterazione dello stile di vita e delle relazioni sociali e affettive dell'individuo), su cui la giurisprudenza non esprime ancora orientamenti univoci.
Il pericolo è che nell'intento di aumentare il livello di protezione del cittadino che ha subito un danno in seguito ad un trattamento sanitario, la magistratura inasprisca il concetto di errore medico. Non dimentichiamo, infatti, che il medico non svolge la propria attività isolatamente, ma è nella maggior parte dei casi inserito in una struttura sanitaria caratterizzata da una propria organizzazione e da un proprio grado di efficienza.
La situazione generale della sanità italiana è messa in evidenza dalla relazione Pit salute 2003. I dati mostrano come le inefficienze del sistema mettano in difficoltà i diversi soggetti che operano all'interno del servizio sanitario pubblico. In particolare si registrano alcuni fenomeni preoccupanti:
-  estensione delle liste di attesa;
-  la difficoltà di ottenere prestazioni di riabilitazione in tempo utile a non creare altri danni;
-    la mancanza di limiti precisi alle dimissioni forzate. Soprattutto in assenza di soluzioni idonee alternative all'ospedalizzazione;
Queste carenza strutturali si riflettono inevitabilmente sull'operato del medico. La struttura sanitaria sottoscrive un'assicurazione per la copertura dei danni causati ai pazienti che esclude (per legge) i casi di colpa grave dei dipendenti. E' evidente che, in sede di accertamento delle responsabilità, la struttura sanitaria avrà interesse a far ricadere – se possibile – la responsabilità sul medico, sia per motivi di prestigio che per motivi economici.

Tratto da MANUALE DI SOCIOLOGIA DELLA SALUTE di Angela Tiano
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