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La scrittura di Natalia Ginzburg

Lo stile di Natalia Ginzburg


Caratteristiche principali della scrittura di Natalia Ginzburg sono: la sua naturale ritrosia a scoprirsi, l'inclinazione ad esprimersi con semplicità e la tendenza a preferire le immagini ai lunghi discorsi, con il risultato di essere più vera ed espressiva.
Esempio fondamentale di questo suo "parlare per immagini" è, in "Lessico famigliare", Leone Ginzburg ricordato attraverso un ritratto appeso nell'ufficio di Giulio Einaudi, in questo modo l'"io" più intimo e doloroso è ridotto a un'immagine estemporanea e, allo stesso tempo, significativa. La figura del marito viene anche rievocata dalla poesia "Memoria" in cui l'immagine della città rende bene il senso di solitudine dell'autrice: "…Se cammini per la strada nessuno ti è accanto. Se hai paura, nessuno ti prende per mano. E non è tua la strada, non è tua la città. Non è tua la città illuminata: la città illuminata è degli altri…". Di importanza notevole il brano "Ritratto di un amico" contenuto nel libro "Le piccole virtù" in cui Natalia Ginzburg parla dell'amico Cesare Pavese facendo nuovamente riferimento all'immagine della città, questa volta paragonata alla figura stessa dell'amico: "…La nostra città rassomiglia, noi adesso ce ne accorgiamo, all'amico che abbiamo perduto e che l'aveva cara; è, come era lui, laboriosa, aggrondata in una sua operosità febbrile e testarda; ed è nello stesso tempo svogliata e disposta a oziare e a sognare…".

Lo stile incredibilmente concreto dell'autrice esprime in modo totale l'autenticità e l'intelligenza della stessa. La sua scrittura è connotata da ironia, umanità e confronto col vissuto. E' lei stessa ad ammettere che "scrivere" non è un mestiere che tiene compagnia, non rappresenta una consolazione, né uno svago. Per scrivere cose che servono bisogna sentirsi stanchi; è lo scrivere in se stesso che deve stancare e deve rifuggire dall'evasione.

Interessante anche la distinzione che fa l'autrice tra l'essere felici o infelici quando si scrive e il modo in cui questo possa influire sulla scrittura stessa. Per l'autrice la felicità rende la fantasia più fervida mentre l'infelicità vivacizza la nostra memoria. La sofferenza rende la fantasia debole e pigra; non riusciamo a distogliere lo sguardo dalla nostra vita e dalla nostra anima, dalla sete e dall'inquietudine che ci pervade. Il dolore, dunque, può costituire un pericolo come lo può costituire la stessa felicità. Questo perché quando scriviamo c'è il rischio che uno dei due stati d'animo prevalga sull'altro rendendo il nostro testo povero, precario e scarsamente vitale, cosa che non succederebbe se riuscissimo a combinare i due sentimenti.Natalia Ginzburg ammette, comunque che, avvicinandosi sempre di più all'età adulta, lo stato d'animo può assumere un'importanza ridotta rispetto alla scrittura, perché a un certo punto della vita si hanno tante perdite che c'è sempre un velo di profonda infelicità.

I temi cari a Natalia Ginzburg


I temi consueti nei libri della Ginzburg sono i rapporti all'interno del gruppo familiare, la convivenza coniugale difficile e spesso fallimentare, l'incomprensione e la solitudine sofferta dalla donna.

Le protagoniste dei suoi romanzi incarnano due tipi opposti di figure femminili: la ragazza ingenua che appare come vittima e la seduttrice sicura di sé, capace di dominare. Due opposti che nel romanzo "La strada che va in città" finiscono per confondersi l'una con l'altra; la prima donna finisce per trasformarsi nella seconda. Riguardo a questo romanzo, la Ginzburg lo scrisse sotto pseudonimo a causa delle leggi razziali e in esso sono già ben evidenti i suoi temi distintivi: le passioni senza via d'uscita, aspirazioni inutili e infantili, e una sfilata di donne destinate a rimanere sole; l'autrice non emette giudizi morali ma c'è una contemplazione che nasce dal "dentro" e che si farà più chiara e forte nei romanzi successivi.

Interessante è il rapporto molto stretto tra il romanzo del '47 "E' stato così" della Ginzburg e "Dalla parte di lei" della De Céspedes due anni dopo. In entrambi i romanzi, infatti, le protagoniste uccidono l'uomo amato, seppur in circostanze diverse e inoltre, nell'intervallo di tempo tra queste due pubblicazioni, la Ginzburg scrive sulla rivista "Mercurio" un brano intitolato "Discorso sulle donne", dove parla della difficoltà di queste ad essere attive nella storia. Secondo la Ginzburg le donne sono risucchiate dal gorgo dell'interiorità, come da un "pozzo" a causa del loro modo "autoreferenziale" di pensare e di sentire.
Sarà la De Céspedes stessa a rispondere a questo articolo affermando che le donne attingono proprio a questo "pozzo" la loro speciale forza; la difficoltà consiste nel riuscire a spostare nella storia la contraddittorietà del mondo interiore.
Nei libri della scrittrice sembra che l'umanità abbia rinunciato a cercare il senso della vita e abbia accettato di vivere alla giornata. L'esistenza diventa una triste cantilena e il fluire della vita avvolge tutto indistintamente: la guerra, le morti, le distruzioni, pari ai fatti quotidiani, alle parole senza peso. Riaffiora, ne "Le piccole virtù" il tema dell'incomunicabilità e della solitudine, che implica un duplice silenzio: "il silenzio con se stessi e il silenzio con gli altri, l'una e l'altra forma ci fanno ugualmente soffrire" e il silenzio visto come peccato: "…il silenzio deve essere contemplato, e giudicato anche in sede morale, perché il silenzio, come l'accidia e come la lussuria, è un peccato".

Influenze nella scrittura di Natalia Ginzburg


Ci sono fattori, familiari e ambientali, che esercitano una certa influenza sull'atteggiamento dell'autrice; ad esempio la decisione del padre di non farle frequentare la scuola elementare ma prendere lezioni a casa dalla madre per evitare il pericolo di contrarre malattie, cosa che dimostra come per lui la salute fisica fosse più importante dello sviluppo psicologico. Un'importante influenza l'ha esercitata il fattore religioso, il fatto di non aver mai abbracciato una religione: "L'andare a scuola come l'andare in chiesa era una prerogativa degli altri: dei poveri, forse di quelli comunque che erano come tutti mentre noi eravamo forse come nessuno…".Emblematico "Il figlio dell'uomo", uscito nel 1946, in cui ritrae i giovani usciti dall'esperienza della guerra e dalla persecuzione del regime fascista; si avverte nell'utilizzo della prima persona plurale un alienarsi da quella che si definisce l'egoarchia, la supremazia dell'io narrante. Spiegherà in seguito l'autrice che la declinazione al plurale fu utilizzata perché non ritenne che la parola "io" fosse capace di esprimere il dolore e la sofferenza di una nazione e di una generazione, appena usciti dall'incubo della guerra.

La Ginzburg non va ricordata solo per i suoi romanzi e per la produzione saggistica ma anche per la produzione teatrale.
Il teatro della Ginzburg è un teatro di parola che si ispira a Chêcov e a Goldoni. Non cerca di convincere lo spettatore della bontà delle sue idee, non cerca di sedurlo, né di compiacerlo. Si inventa un teatro dell'assurdità che però non presenta somiglianze, né tecniche, né ideologiche, con il teatro dell'assurdo di marca maschile ed esistenziale. Gli uomini, nel teatro della Ginzburg, sono quasi sempre adulti ma anche insensati, però nella prospettiva comicamente più greve di chi ragiona, o ci prova, sul senso della propria vita. Le donne, invece, soffrono e splendono di una vocazione per l'originalità, propria e altrui.


Bibliografia di Natalia Ginzburg


Romanzi:
1942 "La strada che va in città"
1947 "E' stato così"
1952 "Tutti i nostri ieri"
1957 "Valentino"
1961 "Le voci della sera"
1963 "Lessico famigliare"
1973 "Caro Michele"
1984 "La città e la casa"

Produzione saggistica:
1962 "Le piccole virtù"
1970 "Mai devi domandarmi"
1974 "Vita immaginaria"
1983 "La famiglia Manzoni"

Produzione teatrale:
1967 "Ti ho sposato per allegria e altre commedie"
1968 "L'inserzione"
1973 "Paese di mare"
1985 "La poltrona"
1988 "L'interventista"

Saggi e opere di riferimento:
E. Clementelli, Invito alla lettura di Natalia Ginzburg, Mursia, Milano 1972.
I. Marchionne Picchione, Natalia Ginzburg, La Nuova Italia, Firenze, 1978.
"E' difficile parlare di sé" a cura di Cesare Garbali e Lisa Ginzburg, Einaudi, Torino, 1999.
Grande dizionario enciclopedico, Utet.
P. Gibellini, G. Oliva, G. Tesio, Lo spazio letterario: antologia della letteratura italiana, Brescia, La Scuola.

Tratto da NATALIA GINZBURG di Annamaria Martinolli
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