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La destra storica e l'unità d'Italia


La destra storica aveva anche il problema di completare l’Unità: cioè annettere il Veneto, il Trentino e soprattutto Roma e il Lazio. In particolare la rivendicazione di Roma Capitale era stata solennemente proclamata da Cavour in una delle prime sedute del parlamento. La Sinistra vedeva nella lotta per la liberazione di Roma l’occasione per un rilancio dell’iniziativa democratica, era proprio la presenza del Papa a Roma a costituire il problema più spinoso. Per capire la gravità della questione si deve sapere che più del 99% della popolazione italiana era cattolica e che il clero rappresentava in molte zone rurali l’unica presenza organizzata e l’unico punto di riferimento culturale. Nel giugno ’62 Garibaldi rilanciò pubblicamente il progetto di una spedizione contro lo Stato Pontificio. Quando Napoleone III fece capire di essere deciso ad impedire con la forza l’attacco contro Roma Vittorio Emanuele II fu costretto a sconfessare con un proclama l’impresa garibaldina, quindi decretò lo stato d’assedio in Sicilia e in tutto il Mezzogiorno. Il 29 agosto 1862 i volontari garibaldini furono intercettati sulle montagne dell’Aspromonte, lo stesso Garibaldi ferito leggermente fu arrestato e rinchiuso per poche settimane. Preoccupati di ristabilire buoni rapporti con la Francia i governatori italiani riannodarono i rapporti con Napoleone III e conclusero nel settembre 1864 un accordo: la “convenzione di settembre” in base al quale si impegnavano a garantire il rispetto dei confini dello Stato Pontificio ottenendo in cambio il ritiro delle truppe francesi dal Lazio. A garanzia del suo impegno il governo decideva di trasferire la capitale da Torino a Firenze. All’Italia si presentò inaspettatamente l’occasione di raggiungere un altro obiettivo fondamentale: la liberazione del Veneto. L’occasione fu offerta nel ’66 da una proposta di alleanza militare italo-prussiana rivolta al governo italiano da Bismarck che si apprestava allora ad affrontare la guerra con l’impero Asburgico. La partecipazione italiana fu decisiva per l’esito del conflitto. Gli italiani si scontrarono con forze austriache inferiori di numero e Custoza e Lissa, in entrambi casi gli alti comandi diedero cattiva prova di se, gli unici successi della campagna vennero dai Cacciatori delle Alpi di Garibaldi. Dalla successiva pace di Vienna del 3 ottobre 1866 l’Italia ottenne il solo Veneto, Garibaldi ricominciò a progettare un spedizione a Roma, la novità era che l’azione dei volontari avrebbe dovuto appoggiarsi su un insurrezione preparata dagli stessi patrioti romani, a metà ottobre mentre le prime colonne di volontari penetravano in territorio pontificio il governo francese inviò un corpo di spedizione nel Lazio. L’insurrezione a Roma fallì per la sorveglianza della polizia e per la scarsa partecipazione popolare. L’impresa era già praticamente fallita quando il 3 novembre ‘67 le truppe francesi da poco sbarcate a Civitavecchia  attaccarono presso Mentana il grosso delle forze garibaldine e le sconfissero. Si chiudeva così la stagione delle imprese risorgimentali. L’occasione per la conquista di Roma sarebbe stata offerta di li a poco da eventi esterni e imprevedibili come la guerra franco-prussiana e la caduta del II impero. Nel settembre 1870 il governo italiano avviò un negoziato col papa: Pio IX rifiutò ogni accordo, il 20 settembre 1870 le truppe italiane entrarono nella città presso Porta Pia accolte festosamente dalla popolazione, pochi giorni dopo un plebiscito sanzionava a schiacciante maggioranza l’annessione di Roma e del Lazio. Roma divenne capitale l’anno successivo. La legge approvata il 13 maggio 1871 fu detta delle “Guarentigie” cioè delle garanzie: con essa il regno d’Italia si impegnava unilateralmente a garantire al pontefice le condizioni del libero svolgimento del suo magistero spirituale, al papa venivano riconosciute prerogative simili a quelle di un capo di stato. Lo stato offriva inoltre al papa che la rifiutò una dotazione annua pari a quella iscritta nel bilancio dell’ex stato pontificio per il mantenimento della corte papale. Non per questo si attenuò l’intransigenza del papa nei confronti del regno d’Italia, il “non expedit” era un esplicito divieto ai cittadini italiani di partecipare alla vita politica dello stato emanato dalla curia romana.

Tratto da PICCOLO BIGNAMI DI STORIA CONTEMPORANEA di Marco Cappuccini
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