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Dal valore al progresso


La marca è fragile poiché è dipendente dal consumatore, inoltre più la marca si rende visibile, più essa si espone (in caso di slittamenti) a delle violente sanzioni da parte dei suoi clienti. Ci si può chiedere di conseguenza dove è il suo vero impero.
Naomi Klein è ben cosciente di questo paradosso; vi vede anche i motivi di un certo ottimismo, cosa che la distingue dal complesso di critiche anti-mondializzazione. La sovra esposizione delle marche assimilata nel suo discorso alla globalizzazione in generale, diventa ai suoi occhi una fonte importante di contestazione.
Ma gli autori M. Chevalier e G. Mazzalovo non sono d’accordo con questa contestazione che sembra presentare le marche come sistematicamente rivolte contro la vita reale e cittadina ed inoltre che lascia intendere che le marche non subiscono la mondializzazione degli scambi e delle comunicazioni  ma che ne sono le volontarie produttrici.
Il problema è che Naomi Klein ha una visione molto limitata della marca, poiché non comprende il ruolo del “consumatore” in rapporto con la marca e sostiene una lotta senza fine contro le aziende ritenute le "uNike responsabili”.
Gli autori del libro ritengono però che il modello del mondo della marca osservato da Naomi Klein sia molto statico, poiché ella vede un mondo diviso in due, in cui la sola interazione passa attraverso il mutuo antagonismo, ma secondo loro non è possibile separare il commercio della vita reale. Al contrario la tesi centrale di Pro logo sostiene che le marche in un contesto di buona gestione e di fronte a consumatori responsabili sono dei vari fattori di progresso sociale, economico e culturale.
Ma si parla delle marche in particolare e non delle Aziende in generale. Infatti le marche in termini di progresso rappresentano un vantaggio, la nozione di marca si basa sull’idea di differenziazione e non può essere differenziazione senza promozione di valori siano essi qualitativi, edonistici o etici.
Pensiamo ad esempio al caso Nike accusato pesantemente di sfruttamento Minorile e condizioni di lavoro disumane nel paese del terzo mondo.
La Nike, in  un certo senso, grazie a questa accusa ha dato vita a numerosi cambiamenti e controlli della situazione, anche ad altre aziende e marche di minore importanza.
Se riflettiamo bene su questo caso è facile comprendere che se fosse successo ad altre aziende non conosciute  nessuno avrebbe mai saputo dell’esistenza di tali fenomeni. 
Infatti è esattamente l’esistenza di una marca come Nike che permette un certo modo di azione e fa progredire le cose. La marca ha commesso un errore ma anche a causa della sua notorietà le costerebbe troppo  caro non riparare ad esso.
La marca implica la promozione di valori, la nozione di marca permette di progredire, a tutti i livelli della catena di produzione e di distribuzione verso un mondo più giusto. 

Tratto da PROLOGO. LE MARCHE COME FATTORI DI PROGRESSO di Priscilla Cavalieri
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