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Il Neomarxismo

I dibattiti accademici finora analizzati riguardano soprattutto la politica internazionale: gli affari economici svolgono un ruolo secondario.
I decenni seguiti alla seconda guerra mondiale furono un periodo di decolonizzazione; numerosissimi paesi nuovi comparvero sulle carte geografiche. Molti di questi, però, sono talmente deboli sotto il profilo economico da occupare gli ultimi posti della gerarchia economica globale (il Terzo Mondo).
Pressappoco in quegli anni emerse il neomarxismo, come tentativo di spiegare teoricamente il sottosviluppo economico del Terzo Mondo.
Fu questo lo spunto di un nuovo dibattito nel campo delle Relazioni Internazionali, incentrato sulla ricchezza e la povertà a livello internazionale, e cioè sull’ Economia Politica Internazionale (EPI). Questo dibattito consiste in una critica neomarxista all’economia politica mondiale e nelle risposte dei liberali EPI e dei realisti EPI in merito al rapporto tra economia e politica nelle Relazioni Internazionali.

Il neomarxismo si propone di analizzare la situazione del Terzo Mondo utilizzando gli strumenti analitici messi a punto da Karl Marx per indagare il funzionamento del capitalismo in Europa  i neomarxisti estesero quell’analisi al Terzo Mondo, sostenendo che l’economia capitalistica globale è controllata dai ricchi stati capitalistici, che se ne servono per impoverire i paesi poveri del mondo. Dipendenza è uno dei concetti chiave usati dai neomarxisti.
Andre Gunder Frank sostiene che lo scambio ineguale e l’appropriazione del surplus economico da parte di pochi a danno di molti costituiscono una caratteristica intrinseca del capitalismo: finché esisterà il sistema capitalistico, il Terzo Mondo resterà sottosviluppato.
Una tesi analoga è proposta da Immanuel Wallerstein, il quale ammette la possibilità che qualche paese del Terzo Mondo possa salire nella gerarchia capitalistica globale, ma solo pochi potranno riuscirci: in cima non c’è spazio per tutti.

Quasi diametralmente opposta è la versione liberale dell’EPI. Secondo gli studiosi di questo filone, la prosperità umana potrà essere realizzata grazie alla libera espansione globale del capitalismo al di là dei confini dello stato sovrano e alla progressiva perdita d’importanza di tali confini. I liberali si rifanno all’analisi economica di Adam Smith e di altri economisti liberali classici, secondo i quali
i liberi mercati
la proprietà privata
la libertà individuale
sono i 3 fattori capaci di promuovere un progresso economico autosostenuto per tutte le parti coinvolte.

I realisti EPI la vedono in modo ancora diverso. Rifacendosi al pensiero di Friedrich List, ritengono che l’attività economica dovrebbe essere posta al servizio della costruzione di uno stato forte e del perseguimento dell’interesse nazionale. La ricchezza prodotta dovrebbe dunque essere controllata e gestita dallo stato → la dottrina EPI statalista è spesso denominata mercantilismo o nazionalismo economico.
Il regolare funzionamento di un libero mercato dipende dalla forza politica; in assenza di una potenza dominante o egemonica, non può esistere un’economia mondiale liberale.
ES: gli USA svolsero un ruolo di potenza egemone a partire dalla fine della prima guerra mondiale, ma nei primi anni ’70 cominciarono a essere sfidati sul piano economico dal Giappone e dall’Europa occidentale, e tale sfida si fece via via più intensa. Secondo i realisti EPI, quel declino della leadership USA ha indebolito l’economia mondiale liberale, perché nessun altro stato è in grado di assumere il ruolo di potenza egemone a livello globale.

Le differenze tra queste versioni dell’EPI si manifestano con chiarezza nell’analisi di 3 importanti questioni, emerse negli anni recenti e tra loro correlate:
1. la globalizzazione economica = diffusione e intensificazione di tutti i tipi di relazioni economiche tra i paesi
2. chi vince e chi perde nel processo di globalizzazione economica
3. l’ importanza relativa dell’economia e della politica.

Il terzo dibattito complica ulteriormente la disciplina delle Relazioni Internazionali, perché ne sposta l’oggetto di studio dalle questioni politiche e militari verso quelle economiche e sociali, immettendo una nuova e distinta questione: i problemi socioeconomici dei paesi del Terzo Mondo.
3.
Da qualche tempo nelle Relazioni Internazionali si è avviato un terzo dibattito, incentrato su varie critiche mosse ai filoni consolidati da approcci alternativi, talvolta definiti post-positivisti.
4 sono le principali correnti coinvolte in questa sfida:
1. si ispira alla teoria critica
2. si è sviluppata partendo dalla sociologia storica
3. comprende autrici del filone femminista
4. appartengono gli studiosi interessati a una lettura postmoderna delle Relazioni Internazionali.

La fine della guerra fredda ha cambiato l’agenda internazionale sotto numerosi aspetti cruciali. In particolare, un numero crescente di studiosi delle Relazioni Internazionali era insoddisfatto dell’approccio predominante, da guerra fredda, ossia il neorealismo di Waltz.

Molti prendono le distanze da Waltz, contestando l’ipotesi che il complesso mondo delle Relazioni Internazionali possa essere compresso in pochi, sintetici enunciati sulla struttura del sistema internazionale e l’equilibrio di potere  fanno propria la critica antibehaviorista.
Molti studiosi delle Relazioni Internazionali criticano inoltre il neorealismo waltziano per la sua visione politica conservatrice: non c’è molto nel neorealismo che indichi la possibilità di cambiare lo status quo e di creare un mondo migliore.
Insomma, nelle Relazioni Internazionali si sono aperti nuovi dibattiti che investono sia questioni metodologiche (= come impostare lo studio delle Relazioni Internazionali) sia questioni sostanziali (quali dovrebbero essere considerate le più importanti).
NB: Le nuove questioni e le nuove metodologie hanno qualcosa in comune: il giudizio che le tradizioni consolidate nel campo delle Relazioni Internazionali non sono in grado di affrontare adeguatamente le nuove questioni emerse nella politica mondiale dopo la fine della guerra fredda.
L’analisi politica
Secondo Nicholson 2 sono fondamentalmente i programmi generali di ricerca del positivismo contemporaneo nelle Relazioni Internazionali:
1. un programma di ricerca quantitativa, di cui un filone importante è associato con la ricerca della pace
2. un programma di analisi della scelta razionale, come la teoria dei giochi.
Il concetto di politica presuppone che il governo definisca i propri obiettivi e scelga poi metodi e linee di condotta per conseguirli. L’analisi politica è un modo di ragionare su obiettivi e comportamenti del governo alla luce del rapporto tra mezzi e fini, ed è quindi un concetto strumentale. Un’analisi strumentale è cosa diversa da un’analisi esplicativa. Mentre quest’ultima prevede l’esecuzione del corretto resoconto di un evento (variabile dipendente) alla luce delle sue cause o condizioni (variabile indipendente), la prima prevede invece l’individuazione della linea di condotta ottimale per raggiungere un obiettivo.
La gestione delle relazioni con l’estero richiede politiche attentamente soppesate alla luce degli interessi (obiettivi) esteri del governo. L’analisi della politica estera può comportare anche una riflessione sulla natura, ossia sui pro e sui contro, di quegli obiettivi, ma ciò che deve comportare è una riflessione sui mezzi ottimali per conseguire quegli obiettivi.
L’analisi tradizionale della politica estera presuppone un’adeguata conoscenza della politica estera di un governo, ossia della sua storia, degli interessi che la muovono e dei metodi adottati per conseguire quegli interessi. C’è un tipo di analisi politica che prescinde dall’esperienza diretta o dalla capacità di mettersi nei panni dei policy maker. L’ analisi della scelta razionale nel campo delle Relazioni Internazionali vide la luce nei primi anni ’60 grazie ai lavori di Schelling, Boulding e Rapoport. La scelta razionale è una versione scientifica del ragionamento strumentale che si avvale dell’applicazione di un tipo di analisi formalizzato per l’individuazione dei mezzi più razionali, o efficaci, per conseguire un obiettivo predeterminato (es: la teoria dei giochi).
Realismo
Le idee e le ipotesi su cui si basa il realismo sono:
1. una visione pessimistica della natura umana
2. la convinzione che le relazioni internazionali sono necessariamente conflittuali
3. l’alto valore attribuito alla sicurezza nazionale e alla sopravvivenza degli stati
4. un sostanziale scetticismo circa la possibilità che nella politica internazionale possa verificarsi un processo evolutivo analogo a quello della politica interna.
Secondo i realisti, ogni individuo desidera sedersi al posto di guida: per questo punta sempre ad essere in posizione di vantaggio nelle relazioni con gli altri. Questa visione pessimistica della natura umana emerge con forte evidenza dalla teoria di Hans Morgenthau, pensatore realista del XX secolo. Più o meno, anche gli altri realisti classici condividono l’idea che la politica internazionale sia, prevalentemente, politica di potenza, sinonimo di anarchia internazionale, un sistema, cioè, senza nessuna autorità sovrastante, senza nessun governo mondiale. Lo scopo della politica estera è quello di proiettare e difendere gli interessi dello Stato (il protagonista assoluto) nella politica mondiale.
Inoltre, gli Stati non sono tutti uguali, ma sono collocati in una precisa gerarchia internazionale: gli stati più importanti sono le grandi potenze  le relazioni internazionali si riducono ad una lotta tra le grandi potenze per conquistare predominio e sicurezza.
Il fatto che tutti gli stati devono perseguire il proprio interesse nazionale significa che non si può mai fare completo affidamento sugli altri governi; tutti gli accordi internazionali sono provvisori e condizionati dall’effettiva volontà degli stati di rispettarli.

Nella teoria realista delle Relazioni Internazionali bisogna fare un’importante distinzione tra:
a) realismo classico: concentra l’attenzione sui valori politici chiave della sicurezza nazionale e della sopravvivenza dello stato
b) realismo contemporaneo: si rifà ad un’impostazione fondamentalmente scientifica e concentra l’attenzione sul sistema (o struttura) internazionale.

Tratto da RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
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