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Gli anni della grande metamorfosi sindacale: 1979-98


La crisi che investì il sindacato confederale negli anni '80 era riconducibile sia ad eventi macro e microeconomici, sia a fattori sociali connessi ai primi.

L'evento macroeconomico fondamentale è la costituzione dello SME e l'introduzione del cambio a fluttuazione limitata per la lira e le altre monete europee. Questa svolta nella politica dei cambi interrompeva definitivamente la politica della svalutazione competitiva, impedendo agli imprenditori di scaricare sui prezzi l'aumento del costo del lavoro: ciò rese di vitale importanza adottare politiche di contenimento e dell'inflazione.

Il controllo del costo del lavoro era imposto da altri due fattori: gli alti tassi applicati dalla Banca d'Italia a partire dal 1981 (per rendere appetibile la sottoscrizione dei titoli pubblici da parte degli investitori italiani e esteri) e il conseguente rialzo del tasso di sconto che favorì la progressiva internazionalizzazione dell'economia italiana, grazie al flusso di capitali in entrata, ma che comportò anche la crescita del costo del denaro per le imprese oltre che un aumento del debito pubblico; la necessità per le imprese di affrontare le ristrutturazioni produttive funzionali all'utilizzo delle nuove tecnologie. Quindi il maggior costo del denaro ed il ricorso forzato, soprattutto per le piccole e medie imprese al credito bancario, rendevano ancora più pressante il problema del contenimento del costo del lavoro.

Questi eventi di natura economica e tecnologica ebbero conseguenze di natura sociale: la rapida crescita del tasso di disoccupazione (che determinò anche un indebolimento strutturale del sindacato); il declino dell'operaio-massa determinato dalla riorganizzazione produttiva e dall'utilizzo delle nuove tecnologie che riducevano la presenza di operai non qualificati; il ridimensionamento della categoria del lavoro dipendente (con l'espulsione del 30% della forza lavoro dall'industria e dall'agricoltura che solo parzialmente fu compensato dalla dilatazione del settore dei servizi).
Corollario di questo fenomeno fu la riduzione drastica del tasso di sindacalizzazione: dal 50%, sfiorato alla fine degli anni '70, crollò al 39,3% nel 1990.
I lavoratori che restavano nell'industria, inoltre, passavano attraverso processi produttivi di riconversione che ne diversificavano ed esaltavano la qualifica professionale. Il sindacato dovette affrontare la realtà di posizioni sempre più segmentate nel processo produttivo che mal si adattavano all'omologazione rivendicativa cui era abituato.

Questo repentino cambiamento economico e sociale avrebbe richiesto da parte delle confederazioni una pari velocità di adattamento. Al contrario si verificò un lungo attardarsi nella difesa ad oltranza della scala mobile, appiattendosi sulla garanzia del potere di acquisto del salario di una figura di operaio in declino. Questo avvenne per motivi complessi e con posizioni diverse per le tre Confederazioni, sulle quali continuavano a gravare il condizionamento dei partiti e le conseguenze del fallimento della solidarietà nazionale.


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