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I sindacati e la crisi del fascismo 1943

A partire dal 1941 iniziò la crisi del regime fascista, impegnato in una guerra senza disporre di risorse adeguate e capacità militari.
Nel marzo del 1943 vi furono scioperi che interessarono le industrie del Nord Italia: si trattava di scioperi economici diretti ad ottenere l'indennità di fine anno e di sfollamento a causa dei disagi provocati dai bombardamenti. Gli scioperi ebbero una dinamica spontanea e dimostrarono che il mondo del lavoro era in contrasto col regime fascista.

Caduto il regime nel luglio del 1943, il governo Badoglio abolì la Camera dei Fasci e delle Corporazioni nonché tutti gli organi corporativi.
Determinante fu l'incontro fra l'ex segretario della CGDL Buozzi e il nuovo ministro delle corporazioni L. Piccardi, dal quale scaturì il commissariamento dei sindacati fascisti: Buozzi prese la guida dei lavoratori dell'industria, Grandi divenne commissario dei lavoratori dell'agricoltura e a Di Vittorio fu riconosciuta la responsabilità dei braccianti agricoli scorporati dal sindacato dei lavoratori agricoli.
I vecchi sindacati fascisti, pertanto, restavano in piedi con dei commissari che avevano il compito di trasformarli in strutture sindacali conformi alla nuova democrazia.

Furono commissariate anche le organizzazioni padronali: CONFINDUSTRIA a G. Mazzini e CONFAGRICOLTURA a F. Visconti da Modrone. Si trattò di un passaggio da uomini di regime a tecnocrati di ispirazione liberale o cattolica, ma che non assumevano la carica su designazione del partito. Le nomine al vertice dei sindacati dei lavoratori, invece, avvennero su precisa indicazione dei partiti, affermando così il modello di dipendenza del sindacato dal partito che sopravviverà sino alla crisi del sistema politico italiano dei primi anni '90.

Prima del fascismo, il sindacalismo libero si nutriva di un rapporto diretto con i lavoratori, che spesso non erano politicizzati, ma la discesa nella clandestinità o la via dell'esilio fecero prevalere le ideologie di partito a danno delle ascendenze sindacali. Si affermò il principio della dipendenza del sindacato dal partito, per i socialisti e ancor più per i comunisti, infatti per il PCI, il sindacato doveva sviluppare nelle masse la coscienza di classe e tenerle legate alle linee del partito.
Questa dipendenza fu confermata dalle condizioni storiche, e lo stesso commissariamento recepiva il modello centralizzato di organizzazione fascista che trovò conferma nella costituzione del sindacato unitario nel 1944 che a sua volta favorì il consolidamento di tale dipendenza.

Durante il commissariamento ci fu l'accordo Buozzi-Mazzini nel 1943 che decretò la nascita delle Commissioni Interne (CI) nelle imprese industriali con più di 21 dipendenti, mentre in quelle con un numero di dipendenti compreso tra 5 e 20 venne introdotta la figura del fiduciario di impresa che riecheggiava la stessa figura introdotta nel periodo fascista.
Le CI avevano compiti importanti come la risoluzione delle controversie collettive. e la stipulazione dei contratti collettivi. Esse erano espressione della democrazia sindacale: l'elettorato attivo e passivo era rappresentato da tutti i lavoratori dell'impresa. Esse, inoltre, costituivano il punto di raccordo tra la periferia ed il centro del sindacato. Si trattò, però, di un accordo privo di efficacia visto che non ebbe alcuna applicazione a seguito di quanto accaduto dopo 1'8 settembre 1943.

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