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Il dibattito sulla didattica della storia in Italia

Apro il mio lavoro con questi interventi di Antonio Brusa, uno dei grandi protagonisti del dibattito sulla didattica della storia in Italia, non solo perché suggeriscono interessanti spunti di riflessioni a  chi insegna e, più in generale, a chi comunica la storia, ma  perché è proprio all’interno di questo dibattito che può avere senso un’analisi comparata - secondo gli strumenti forniti dalla semiotica - del modo in cui due diversi manuali di storia delle scuole superiori presentano lo stesso evento (in questo caso: il tema della caduta del muro di Berlino).
I presupposti dell’indagine sono già di per sé molto complessi. Prima di tutti  perché, come già detto, ci si inserisce su un terreno di riflessione – quello della didattica della storia – estremamente controverso e complicato, che tra l’altro non vede nei manuali di storia l’unico elemento rilevante. Ma soprattutto perché, dal nostro punto di vista specificamente semiotico, il libro di storia pone, ancora prima di addentrarsi nel vivo dell’analisi, riflessioni dal punto di vista del mezzo, vista la sua funzione didattica, il suo utilizzo nel contesto di una classe, la sua responsabilità etica.
Il manuale è infatti il primo strumento di informazione nelle mani degli studenti, o per lo meno il più autorevole: ha quindi la grande responsabilità di definire la Storia con la "S" maiuscola, quella che verrà ritenuta vera da chi legge, anzi studiata, fatta quindi propria. Si tratta di un canale comunicativo particolare, perché per sua stessa definizione stabilisce con il lettore modello un contratto di lettura pedagogico, che presuppone una fiducia cognitiva illimitata nell’enunciatore. Ma non solo. Il libro di storia pone il problema della mediazione dell’insegnamento: se il lettore modello costruito dall’enunciazione è lo studente di quinta superiore, che ruolo ha l’insegnante in questo patto enunciativo? In teoria la lettura del testo dovrebbe avvenire dopo una spiegazione, quindi una chiave di lettura suggerita dal docente, che potrebbe essere diversa da quella offerta dal testo. In questo caso il testo potrebbe presupporre un lettore modello diverso dal lettore empirico, che, già "in-formato" dall’insegnante (che gli ha suggerito una forma interpretativa del reale e della storia), si accingerebbe con spirito critico alla lettura: in questo caso il patto fiduciario potrebbe essere disatteso.
A prescindere dalla mediazione dell’insegnamento, di cui qui non ci occuperemo, ma tornando al testo, vedremo come l’analisi delle diverse scelte possibili dal punto di vista dell’organizzazione del contenuto e delle strategie discorsive di un testo didattico riveli che il discorso storico non possa essere una realtà in sé, ma la sintesi di una serie di scelte effettuate a livello dell’enunciatario che condizionano enormemente l’effetto di senso sull’enunciatore.
Alla base di queste "scelte" ovviamente sta un preciso universo valoriale, un modo interpretativo del mondo e un modo di intendere la didattica della storia. E quindi la risposta alle domande che ogni divulgatore di storia si pone: cosa vuol dire e a cosa serve insegnare la storia nelle scuole secondarie? E cosa si deve insegnare? Una serie di nozioni o un’idea complessa della realtà? 
E anche: come posso interessare uno studente di quinta superiore alla materia in questione? Ovvero, dal punto di vista semiotico, come l’enunciatore può trasformare la modalità di partenza dell’enunciatario-studente (quella del dover sapere) in voler sapere? cioè: com’è possibile creare una tensione euforica dell’enunciatario nei confronti del testo?
L’analisi dell’argomento scelto per questa analisi – il crollo (o caduta?) del muro di Berlino – per il suo essere recente e per la sua valenza simbolica si presta poi a diverse interpretazioni inevitabilmente connesse con il presente. Quindi le scelte testuali dei diversi manuali sottenderanno la risposta ai quesiti: Che cosa simboleggia questo evento? Che cosa insegna? E, in senso lato: è necessario insegnare la storia per favorire una riflessione critica sul presente? 

Tratto da SAGGIO SUL MURO DI BERLINO di Isabella Baricchi
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