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Teorie del cinema. Morin, Bordwell, Brunetta, Bazin



La domanda “cos’è il cinema?” viene articolata studiando i rapporti tra cinema e autore, realtà, spettatore e linguaggio (Compagnon); il paradigma dominante nella letteratura è l’analisi di testo e autore, ma nelle teorie poststrutturaliste l’autore è sussunto nel testo come sua istanza, e nel cinema l’idea di riferire il film al suo autore come regista (e non sceneggiatore) si afferma negli anni ’20, e soprattutto con la “politique des auteurs” proposta dai Cahiers du cinéma negli anni ’50, una “teoria dell’autore” che definisce come “autori” registi hollywoodiani come Hitchcock e Hawks in base alla coerenza interna della loro opera, indipendentemente dalle costrizioni produttive dello “studio system” americano; si analizza la “mise en scène”, la materia dell’espressione filmica con i suoi procedimenti tecnico-stilistici, in base alla “familiarità con il cinema” e con i suoi aspetti formali più che di messaggio, e diviene importante la conoscenza diretta dell’autore. Il rapporto cinema – realtà è mediato anche in molte teorie ontologiche (Morin, surrealismo); il rapporto tra cinema e spettatore si distingue in base al tipo di spettatore (empirico, modello) ed è centrale negli approcci semiotici che cercano nel testo le istanze della ricezione; il rapporto cinema – linguaggio è insito in tutte le analisi semiologiche.
La storiografia del cinema si sviluppa dapprima come calco degli schemi di storia letteraria; si possono distinguere storie economico-sociali (Allen & Gomery, Deslandes, Comolli, Altman, Creton), socioculturali (Brunetta, Sklar, Sorlin) ed estetico-linguistiche (Bordwell, Stargell, Thompson, Aumont); le storie economico-sociali intrecciano storia del cinema ed eventi economici e politici, trattando il cinema come “genere merceologico” e sottolineando l’importanza non della “invenzione” ma della “innovazione” (inserimento nel processo produttivo, come nel “caso Lumière”, con i fratelli che più che inventare il cinema iniziano a produrre proiezioni cinematografiche, e pubblicizzano le “immagini in movimento” con soggetti che definiscono una “estetica del realismo”); le storie socioculturali studiano il “visibile” (Sorlin), ossia la realtà costruita socialmente in base ad un “patto” che limita la quota di realtà effettiva visibile, ed il rapporto tra “visibili” del film e della società nel suo complesso, e in generale correlano film e società in senso ampio, non solo produttivo ma culturale ed istituzionale; le storie estetico-linguistiche analizzano, talora con approccio formalistico (Bordwell), le “filosofie” del cinema, come il “primato della narrazione” hollywoodiano, e le collegano (Aumont) ad altri campi come la pittura, per cogliere il “modo di espressione” cinematografico (Burch). Tra le teorie ontologiche, quella di Bazin delinea il cinema come “riproduzione della realtà”, di contro alle teorie formaliste in cui centrale è l’operazione di montaggio (è Bazin che inventa il concetto di “piano-sequenza”).

Tratto da SEMIOLOGIA DEL CINEMA di Massimiliano Rubbi
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