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ECONOMIA CAPITALISTICA


In una situazione di concorrenza, i singoli capitalisti–imprenditori sono forzati ad introdurre nuove macchine e quindi ad aumentare il capitale fisso a spese del lavoro, così riducono il costo del lavoro e godono di maggior profitti fino a quando anche gli altri capitalisti non saranno spinti ad introdurre le stesse innovazioni e questo ha 2 conseguenze fondamentali:
1) Aumenta la disoccupazione e peggiorano le condizioni della classe operaia: il livello dei salari dipende dall'entità della disoccupazione, cioè da quello che viene chiamato esercito industriale di riserva: quando cresce la domanda di lavoro, tale esercito si riduce e i salari aumentano, determinando una diminuzione del saggio di profitto e quindi un successivo calo della domanda di lavoro e un abbassamento del salario.
Un'eventuale crescita dei salari costituisce inoltre un incentivo alla sostituzione di lavoro con macchinario. Secondo Marx, quindi, la tendenza alla meccanizzazione determina nel lungo periodo un ingrossamento dell'esercito industriale. Solo le imprese più grandi riescono a mantenersi nel mercato, facendo crescenti investimenti in capitale fisso. Si determina così una proletarizzazione dei piccoli produttori. La disoccupazione non è dunque per Marx dovuta alla pressione demografica, ma al funzionamento stesso dell'accumulazione capitalistica.
Inoltre, l'introduzione di nuove macchine si accompagna inoltre al processo di "alienazione" dei lavoratori, ridotti ad insignificante appendice della macchina.
2) Si determina una caduta tendenziale del saggio di profitto che riduce lo stimolo alla produzione, nello specifico:
quando le innovazioni si sono diffuse, si determina un abbassamento complessivo del saggio di profitto dovuto al maggior peso del capitale costante rispetto a quello variabile, e quindi al minor plusvalore.
I limiti dell'economia capitalistica non sono più naturali, come per Malthus e Ricardo, ma sociali: sono legati ai rapporti di classe che connotano il processo produttivo.
Le contraddizioni però non portano automaticamente alla crisi e al suo superamento, ma costituiscono le premesse che determinano la progressiva trasformazione della classe operaia da un aggregato di individui in concorrenza tra loro sul mercato del lavoro, ad un gruppo sociale coeso, attore storico: solo quando questo processo si compie, e la classe operaia si organizza politicamente, si determina la trasformazione del vecchio modo di produzione.

Tratto da SOCIOLOGIA ECONOMICA di Antonio Amato
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