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PERIFERIA BERLINESE


Le grandi città si sviluppano in Germania in ritardo rispetto alle altre città europee, la fase di maggior crescita si ha dopo l’unificazione dei Reich guglielmino quindi per Berlino è decisivo il periodo a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento in quanto si assiste ad una crescita della popolazione e si viene a creare una corona periferica di Mietkasernen (caserme d’affitto) in cui si concentrano gli immigrati dalle campagne e i lavoratori delle fabbriche, si viene così a creare una divisione sociale e politica tra questi e i quartieri borghesi.

Si tratta di quartieri caratterizzata dalla crescita disordinata in cui densità e affollamento raggiungono livelli altissimi, una sorta di banlieue che avranno anche loro una stagione rivoluzionaria tra il 1918 e il 1919, a differenza delle banlieue parigini, la costruzione della periferia berlinese è improntata a criteri di minor densificazione e concentrazione e questo può essere dovuto alla struttura di fortezza della città per cui si ha un modello di città nella città infatti le Großsiedlung (grande insediamento), che caratterizzano la storia urbana novecentesca, dialogano con le preesistenze.
La storia delle periferie berlinesi però è una storia interrotta a causa della costruzione del muro che nel secondo dopoguerra divide la città in due parti.

Nel secondo dopoguerra la Germania deve fronteggiare un enorme fabbisogno abitativo in quanto erano andate distrutte gran parte delle abitazioni e inoltre erano giunti profughi e migranti.
Le amministrazioni pianificano forme di coabitazione coatta e procedono ad un ciclo edilizio rapidissimo e intensivo in quanto si ritiene che questo potesse contribuire al rilancio dell’economia e risolvere il problema della disoccupazione comincia così una nuova epoca di sviluppo urbano.
Le distruzioni di intere parti di città hanno lasciato ampie possibilità di ripensare e progettare le città ma si finisce con il privilegiare soluzioni tecniciste e stereotipate.
Non si vedono limiti alla crescita e per ampliare le città si radono al suolo zone storiche e quartieri operai senza preoccuparsi troppo della tradizione storica o dell’appartenenza sociale, si assiste così ad una seconda distruzione della Germania che andrà avanti fino agli anni Settanta.
Si assiste alla fuga dai centri per trasferirsi in zone suburbane e inizia a delinearsi la divisione tra B- Siedlungen ovvero insediamenti suburbani privilegiati per i ceti medio alti e le A-bereichen, ovvero zone in cui vengono confinati poveri, anziani e stranieri.
Alla necessità di alloggi si risponde quindi con la creazioni di grandi insediamenti che a volte diventano delle vere e proprie città satelliti (Wolfsburg, città satellite che ospitava i lavoratori della Volkswagen) in cui giungono anche lavoratori ospiti attratti dalle centrali produttive in piena espansione e trovano collocazione in edifici nuovi che sono il prolungamento delle Mietkasernen ottocentesche, si tratta sostanzialmente di edifici monofunzionali ai margini delle grandi città delle specie di dormitori privi di servizi e mal collegati alle principali vie di comunicazione.

Anche la Germania dell’Est, seppur esclusa dai flussi migratori, vede la nascita di nuove periferie attraverso la realizzazione di casermoni prefabbricati (Plattenbauten) edificati nel centro a cui si sommano città satelliti (Trabantenstaede).
Queste strutture abitative presentano dei limiti e hanno conseguenze sul funzionamento del paese, Hans-Paul Bahrdt sottolinea alcuni nodi problematici ovvero i pericoli derivanti dalla costruzione ex novo di quartieri di abitazione in cui non si tiene conto della composizione sociale ma si ha una visione ottimistica del futuro in quanto si ha la convinzione di procedere verso un futuro di benessere e di livellamento sociale ovvero si pensa ad una società livellata sui ceti medi infatti gli anni Cinquanta e Sessanta sono caratterizzati dal benessere economico e dalla piena occupazione, nasce la via tedesca alla prosperità ovvero lo Standort Deutschland, che si impone come un modello da seguire in tutta Europa.
Il modello dello Standort Deutschland comincia a incrinarsi negli anni Settanta con l’emergere di sacche di povertà all’interno di una società che si ritiene ricca e abbondante, si tratta di povertà nuove che non riguardano solo coloro che vivono in una condizione marginale ma anche i gruppi non produttivi per cui la povertà torna ad essere una questione sociale.
Il futuro delle Siedlungen risulta preoccupante in seguito ai risultati elettorali che vedono l’affermazione di liste dell’estrema destra nelle zone in cui si concentra l’edilizia sociale, si ripresenta inoltre la questione delle abitazioni che non si era mai risolta del tutto anzi risultava essersi complessificata dall’evoluzione del mercato immobiliare.
Le nuove povertà inoltre non risultano più facilmente classificabili in quanto non comprendo più soltanto le classi consuete ma nuove forme come ad esempio le povertà giovani, ovvero giovani che non guadagno abbastanza per avere uno standard di vita accettabile.
Negi anni Ottanta si sviluppa un nuovo filone interpretativo della teoria della stratificazione sociale in particolare si basa sul fatto che per la comprensione delle disuguaglianze sociale vengono presi in considerazione fattori quali la casa, la salute, la formazione scolastica e la partecipazione politica.
La ristrutturazione dell’economia ha profonde conseguenze spaziali infatti alcune città mostrano segni di declino in seguito alla perdita di gran parte delle attività industriali ne è un caso Berlino che è come se diventasse una città tripartita profondamente diversa dal passato ovvero esiste una prima città che è la metropoli internazionale, a fianco di questa esiste una seconda città che fornisce lavoro e abitazioni ai ceti medi e svolge le funzioni di un capoluogo regionale e infine vi è una terza città che è la città dei marginali e degli esclusi.

Gli anni Novanta si aprono all’insegna della riunificazione tra le due Germanie e questo comporta che gli squilibri tra est ed ovest si innestano sulla problematica nord-sud e si palesano conflitti vecchi e nuovi.
Per quanto riguarda l’ambito dell’abitare sembra che manchi il coraggio di affrontare i limiti di quella che è stata la politica della casa e di progettare soluzione diverse ma in alcuni paesi si elabora un programma che ripropongono un intervento nei quartieri difficili e il recupero di aree pesantemente colpite dal declino industriale e disoccupazione, si tratta di iniziative da cui s svilupperà il programma Soziale Stadt (città sociale).
In Germania il discorso sull’esclusione si fa largo in ritardo in quanto i conflitti scatenati dalla mancanza di lavoro come avveniva in Francia qui vengono in qualche modo mitigate da un sistema di welfare efficace per cui non vi sono rivolte giovanili o dei migranti, non si tratta di una questione di segregazione moderata ma influisce il fatto che qui i giovani sono maggiormente protetti rispetto che in Francia.
Gli anni Novanta si caratterizzano per una serie di lavori empirici che però hanno rilevanti ricadute teoriche: Herlyn compie un’indagine sulla città di Hannover e nota una crescita della disparità tra le diverse zone della città e quindi si è in un contesto in cui gli squilibri territoriali vanno aumentando. Non essendo più possibile classificare i poveri in maniera gerarchica, il concetto di povertà si apre ad una serie di nuove declinazioni e non è possibile ricondurla ai consueti gruppo problematici in quanto la redistribuzione non equilibrata nella città andrà sempre di più aumentando.
I problemi delle città si fanno più urgenti e la politica tradizionale ha difficoltà a fronteggiare e gestire questo tipo di problematiche.

Si afferma con forza in Germania il concetto di Ausgrenzung (=esclusione), concetto che può avere diverse accezioni, giuridica, spaziale, socio-linguistica, fino a comprendere le valenze di stigmatizzazione sociale e discriminazione.
Il capitalismo necessita di una parte ridotta della popolazione per riprodurre il suo ciclo e quindi ormai è più opportuno parlare di un dentro e di un fuori piuttosto che di un sopra e di un sotto.

Carsten Keller sintetizza il discorso sulla segregazione affermando che se ne possono individuare quattro tipi di questo processo: gentrificazione, segregazione dei gruppi svantaggiati, suburbanizzazione e autosegregazione dei ceti alti. Le tendenze estreme, ovvero l’autosegregazione dei ceti alti e la segregazione dei gruppi svantaggiati esprimono l’andamento della polarizzazione socio-spaziale nelle città.
Al di fianco di questa teoria, si ha una teoria che risente dell’influenza delle riflessioni sulla urban underclass proposta da Wilson ma il concetto diventa una sorta di campo di battaglia politico:
• lettura in chiave conservatrice, ovvero l’autoesclusione dei poveri viene considerata come il risultato della loro incapacità di misurarsi con una società che richiede talento e alta formazione.
• lettura in chiave oggettivistica, ovvero l’esclusione non è altro che la forma più evidente dei meccanismi di sfruttamento e marginalizzazione tipici del capitalismo.

Alcuni aspetti della riflessione di Wilson vengono ripresi ma in particolari si afferma la tesi del ruolo svantaggiante giocato da alcuni quartieri e al concetto di underclass che indica uno status rigidamente connotato viene preferito quello di Ausgrenzung.
Il problema non è tanto l’aumento della povertà quanto piuttosto il profilarsi di una nuova forma di divisione sociale che si muove tra inclusione ed esclusione.
Vengono sviluppati studi che rilevano aspetti di una crescente stigmatizzazione e ne risulta che le zone della città in cui vivono i poveri sono caratterizzate da scarsa qualità abitativa ma anche da una cattiva fama che li rende poco raccomandabili (schlechte Adresse, ovvero gli indirizzi famigerati che segnano indelebile coloro che ci vivono), si tratta di zone ai margini della città mal collegate alle vie di comunicazione.
Si vengono a creare le condizioni per un perpetuarsi della povertà e dell’esclusione in quanto vi è un accumulo di segregazione sociale in questi casi l’esclusione diventa essa stessa un fattore di produzione della disuguaglianza e finisce per peggiorare le condizioni di chi ci vive.
La povertà dei moderni ha tratti peculiari legati alle trasformazioni dei modi di produzione e alla riallocazione della divisione internazionale del lavoro, ovvero alte qualifiche alti salari e basse qualifiche bassi salari e aumentano i disoccupati di lungo periodo in quanto si riducono i posti di lavoro per lavoratori non qualificati e la formazione rappresenta un valore aggiunto infatti il sistema formativo diventa parte integrante della selezione sociale e contribuisce a facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro.
Ci sono state trasformazioni anche nel mercato dell’abitazione, nei centri urbani ci sono stati processi di risanamento e valorizzazione del vecchio patrimonio era qualitativamente scadente, ma relativamente a buon prezzo. La valorizzazione dei vecchi appartamenti che ne è derivata li ha trasformati in residenze appetibili sia se poste in vendita sul mercato dell’abitazione sia se proposti ad affitti alti. Alla radice di questo processo di valorizzazione sta anche una specifica strategia degli investimenti che si è andata sempre più orientando verso la proprietà immobiliare quale fonte di rendita questo ha particolarmente interessato le nuove élites che hanno visto crescere il proprio potenziale economico che vanno alla ricerca di abitazioni situate in zone centrali divenute di nuovo attraenti l’altra faccia della medaglia vede una riduzione del patrimonio dell’edilizia sociale in quanto gli stanziamenti per essi si sono ridotti.

La crisi delle città europee deve intendersi come crisi di un modello di integrazione, si è in un’epoca di crisi che coinvolge il ruolo della città nel suo complesso, nelle relazioni a livello locale e globale ma anche al loro interno per quanto riguarda i conflitti che attraversano le città dividendole.
La crescente polarizzazione economica accentua le differenze tra ricchi e poveri tanto che si vengono a creare i quartieri dei vincenti e i quartieri dei perdenti.
La posizione che si ha nel mercato del lavoro finisce per condizionare gli spazi di azioni in altri settori della società, si viene a creare un’interdipendenza tra mercato del lavoro e abitazione ma la fragilità sociale si esprime anche nell’incapacità di accedere a determinate prestazioni dei servizi.

Tratto da SOCIOLOGIA DELLA CITTÀ di Francesca Zoia
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