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Caratteristiche del liberalismo d'emergenza

Caratteristiche del liberalismo d'emergenza


FRA STALINISMO E LIBERALISMO D'EMERGENZA. L'espressione liberalismo d'emergenza appartiene ad un romanzo di Anna Maria Ortese Il mare non bagna Napoli, che con tale espressione si riferiva alla situazione del PCI a Napoli. Questo liberalismo d'emergenza era, in altri termini, l'unica forma di opposizione ad una realtà e ad una forma di gestione del potere profondamente illiberale, non solo nella Napoli nera di Achille Lauro. Questo liberalismo emergenziale aveva contro di sé forze potenti ed era contemporaneamente minato dall'interno, contraddetto com'era dall'ideologia esplicita cui si richiamava. Inserito nella più generale cultura e pratica del partito, era destinato a subire progressivi stritolamenti e tensioni che si aggravarono nel corso degli anni Cinquanta. L'area sociale e culturale della sinistra vedeva progressivamente scemare le utopie positive e le speranze di liberazione dell'immediato dopoguerra, vedendo, invece, più corposi gli elementi deleteri dell'ortodossia più schematica e settaria, necessari nell'estenuante guerra di difesa cui era costretta.
Lo spartiacque regolatore che segna l'inizio di questo cambio di rotta è possibile fissarlo alla metà degli anni Cinquanta, quando accaddero due eventi traumatici e carichi di significato: la pesantissima sconfitta della CGIL alla Fiat durante l'elezione delle commissioni interne (1955) e la pluralità di accadimenti del 1956 noti come l'indimenticabile '56: in quell'anno si tiene il XX congresso del PCUS che sancisce la linea della coesistenza pacifica e la critica allo stalinismo, si rivelano le atrocità staliniste col rapporto Kruscev, si succedono l'insurrezione polacca e quella ungherese, la prima risoltasi nell'accettazione da parte dell'URSS dei risultati delle libere elezioni e la seconda conclusasi con l'invasione e la conseguente repressione sovietica.
Nel considerare l'impatto in Italia di quel 1956 si nota immediatamente la contraddizione tra la violenza immediata del trauma – un vero shock per il PCI – e il carattere parecchio limitato del rinnovamento politico del partito di Togliatti, che ben presto rimosse quell'anno assieme al cumulo di implicazioni e sottintesi che recava con sé.
Questo non vuol dire, però, che la crisi del mito sovietico non portò alla luce una serie di forti crisi e di eventi che, agendo assieme a più sotterranei e radicali processi, finiranno per cambiare nel profondo gli assetti sociali e le culture del paese, frantumando quelle subculture – cattolica, comunista e laico – liberale – che avevano costituito l'ossatura del primo decennio dell'Italia repubblicana.
Si badi bene, la crisi del mito sovietico, dunque, non mette in crisi solo l'impostazione e la cultura del partito togliattiano, ma unita ad altri processi riduce drasticamente i soggetti essenziali su cui sino ad ora il PCI aveva costruito la sua identità e costruisce modalità nuove nello sviluppo della cultura di massa, nuovi modi di essere italiani. Le aree bracciantili e mezzadrili, ad esempio, per molto tempo avevano disegnato ampi contorni della geografia rossa italiana, sia prefascista sia repubblicana; adesso vanno svuotandosi. La stessa classe operaia va lentamente frammezzandosi.

Tratto da STORIA CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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