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Il terzo governo Moro 1966/1968


 Nel febbraio del 1966 cadde il Moro II, subito sostituito dal Moro III, immobile tanto quanto il II, con l'aggravante che non esistevano adesso validi motivi per tenere l'Italia nel mostruoso torpore in cui sonnecchiava. L'economia era infatti in crescita, i salari erano rimasti stabili, l'attivismo sindacale era molto basso.
Ogni tanto qualche evento scuoteva l'Italia dalla ragnatela soporifera in cui l'avevano avvolta i dorotei: il caso dello scandalo della Valle dei Templi ne fu un esempio. Il 19 luglio 1966 franò l'estremità occidentale della città, un insieme disordinato di palazzoni costruito in barba al piano regolatore. Se il governo avesse approvato adeguate leggi sulla pianificazione urbanistica e sulla difesa dei suoli, come la mai attuata legge urbanistica del 1942 o il piano di Sullo, questo, come le contemporanee alluvioni di Firenze e Venezia, non sarebbe mai accaduto. Il governo non trovò di meglio da fare se non varare l'ennesima legge tampone, in attesa di un provvedimento definitivo che non sarebbe mai arrivato: la legge Mancini. Dal nome del ministro socialista Giacomo Mancini, il testo metteva maldestramente qualche pezza qua e là, stabilendo che sarebbero stati d'ora in poi i proprietari, e non lo Stato, a dover pagare in futuro i costi dell'urbanizzazione primaria e parzialmente anche quelli dell'urbanizzazione secondaria. L'anno seguente, il 1968, il governo varò due decreti ministeriali importanti solo in via teorica: essi fissavano gli standard urbanistici e i limiti di edificabilità ai bordi delle strade ma una moratoria decretata per la nuova disciplina urbanistica fece slittare la legge Mancini al 1969 permettendo nel 1968 una patologica corsa all'abusivismo edilizio.
Intanto nel 1966 PSI e PSDI si erano unificati nuovamente nel nuovo partito del PSU (Partito socialista unificato) e iniziò ad essere chiaro che i socialisti, adesso che erano diventati un solido partito di governo, avevano cominciato ad acquisire gli stessi comportamenti clientelari e corrotti dei democristiani.
Dei tre modi riformisti di cui si è parlato, nel 1968 apparve finalmente chiaro che quello che stava dominando era quello minimalista dei dorotei. E come negarlo? Lo scarto tra le dichiarazioni programmatiche degli svariati governi di centrosinistra e le loro realizzazioni concrete erano abissali. All'interno della coalizione democristiano – socialista l'unico a crederci veramente era Lombardi con la sua corrente, troppo poco per sperare di fare qualcosa. Del resto né PCI né PSIUP mossero un dito per appoggiare dall'opposizione le riforme, irati per una coalizione che giudicavano indecente. I socialisti al governo, in effetti, subirono un inesorabile processo di involuzione che li portò dallo stigmatizzare il cauto riformisto democristiano all'assoggettarsi completamente alle politiche di governo. La montagna di Lombardi aveva partorito un topolino come Giacomo Mancini, poi indagato per concorso esterno in associazione mafiosa.
La corrente minimalista potè vincere anche perché l'opposizione delle industrie più progressiste (Fiat, Olivetti, Pirelli) non era sufficiente rispetto allo strapotere confindustriale e la corrente democristiana più progressista non aveva abbastanza forza. Ottenne più risultati Fanfani nel primo governo di centro – sinistra che non tre governi Moro in cinque anni.

Tratto da STORIA CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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