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La condizione del mezzogiorno negli anni dal 1968 al 1973

La condizione del mezzogiorno negli anni dal 1968  al 1973


IL MEZZOGIORNO: 1968 – 1973. In questi anni il Mezzogiorno fu protagonista di una forma di protesta sociale e di associazione politica che differiva radicalmente dal resto del paese. Se autunno caldo ci fu, esso fu in realtà molto tiepido, anche perché la componente operaia era molto piccola rispetto al totale della popolazione, chiusa nelle già trattate cattedrali nel deserto. La componente agricola, che tanto ruolo ebbe nelle passate lotte, era ormai ben poca cosa, a causa del ruolo secondario che il latifondo e le terre avevano adesso. Ad Avola una manifestazione di contadini braccianti che invocava condizioni pari ai vicini di Lentini fu soppressa nel sangue: l'Italia del nord scoprì che al Sud si era ancora fermi a vent'anni prima anche nelle strategie di repressione. Del resto era scomparsa l'antica distinzione latifondista – piccolo contadino perché in mezzo si era incuneata una classe di piccoli proprietari, commercianti, funzionari statali e professionisti. Mancava inoltre la vecchia forma di solidarismo, sostituita da individualismi esasperati e rivalità campanilistiche, lontane dall'unità dell'autunno caldo del nord, che lasciavano mano libera ad una classe politica corrotta e clientelare.
La rivolta di Reggio Calabria fu l'emblema della situazione. Con l'espressione Fatti di Reggio o Moti di Reggio si identifica una sommossa popolare avvenuta a Reggio Calabria dal luglio del 1970 al febbraio del 1971, in seguito alla protesta dovuta alla decisione di collocare il capoluogo di regione a Catanzaro con l'istituzione degli enti regionali. Dietro la protesta c'era una situazione socioeconomica di notevole gravità, dato che non più di 5000 persone in tutto il territorio calabrese erano occupate in stabilimenti di grosse aziende. In questo contesto le possibilità offerte dal settore pubblico erano di vitale importanza, così che Reggio, una delle città più povere d'Italia, doveva diventare la sede del governo regionale; Catanzaro, ugualmente povera, non aveva meno diritti in proposito. Inizialmente il malcontento popolare fu trasversale a livello politico (ad esclusione del Partito Comunista Italiano, subito dissociatosi), ma in una seconda fase i movimenti di destra, ed in particolare il Movimento Sociale Italiano, assunsero un ruolo di primo piano. Il sindacalista della CISNAL Ciccio Franco, esponente missino, si appropriò del «boia chi molla!» di dannunziana memoria e ne fece uno slogan per cavalcare la tigre della protesta dei reggini per opporsi alla scelta di Catanzaro come capoluogo, indirizzandola in senso antistatale e neofascista. Vero motore organizzativo e politico della protesta popolare fu il Comitato D'Azione, assieme al Comitato unitario per Reggio capoluogo (guidato dal sindaco democristiano Pietro Battaglia e da altri esponenti democristiani e missini).

Tratto da STORIA CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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