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La crescita dei gruppi operai in Italia nel 1969


Questi gruppi, comunque, erano fatalmente segnati sin dall'inizio. Anzitutto erano molto spesso ferocemente settari, soprattutto sul piano ideologico e con questo genere di rapporti realizzare un'azione politica unitaria era praticamente improponibile. In secondo luogo, i gruppi diventarono rapidamente delle versioni in piccolo dei principali partiti politici, con le loro gerarchie quasi esclusivamente maschili e i loro leaderini. In terzo luogo, mantennero sempre un atteggiamento pericolosamente ambiguo verso la violenza, adottando i modelli delle lotte di liberazione dell'Asia e del Sudamerica senza riflettere in maniera adeguata sulla loro applicabilità nel contesto italiano e sulle possibili relative conseguenze. In quarto luogo, erano erroneamente e ciecamente convinti dell'imminenza della rivoluzione in Occidente e della possibilità di generalizzare all'Italia intera l'esperienza di alcune fabbriche del nord, abituando i militanti ad una visione di breve periodo e di rapida urgenza.
Tutto questo, comunque, doveva ancora venire. Tra l'autunno del 1968 e quello del 1969 i gruppi vissero il loro momento magico: in questi mesi, nelle principali fabbriche del Settentrione, i sindacati furono frequentemente scavalcati dall'iniziativa dei comitati di base, rompendo con le strutture e le strategie che per ven'tanni avevano guidato le lotte di classe. Il modello delle agitazioni fu quello della Pirelli: i sindacati di fabbrica, nel 1968, accettarono un modesto aumento di stipendio lasciando cadere praticamente le richieste di migliori condizioni di lavoro. Risultato fu che nel giugno 1969 un gruppo di operai della Pirelli, uniti al alcuni membri di Avanguardia Operaia, formarono il Comitato Unitario di Base – CUB per continuare la lotta a livello di fabbrica. Le adesioni al CUB andarono oltre ogni rosea previsione mentre i sindacati e il PCI venivano additati per la loro esagerata tendenza al compromesso. La vittoria del CUB della Pirelli portò alla formazione di nuovi CUB, che proposero ben presto obiettivi ardui: riduzione delle differenze salariali tra operai e operai e tra operai e impiegati; passaggio automatico, dopo un
certo numero di anni, alla categoria superiore; rifiuto di accettare lavori gravosi, nocivi o pericolosi per la salute in cambio di un salario più alto; abolizione delle gabbie salariali. La richiesta più dura e sovversiva era la rottura del legame tra aumenti salariali e aumento della produttività. I salari, per usare un termine dell'epoca, dovevano diventare una variabile indipendente che non fosse determinata dai profitti dell'impresa o dalla situazione economica. Nacquero nuove forme di lotta interna per ottenere tali obiettivi: lo sciopero a gatto selvaggio, a singhiozzo, a scacchiera. Forme di lotta realizzabili grazie ad una nuova era di solidarietà a livello di reparto. Le manifestazioni all'interno delle fabbriche si moltiplicavano, con occupazioni e cortei che bloccavano spesso la fuga degli amministratori dalla fabbrica. Il più famoso di questi episodi fu a Torino con la cosiddetta rivolta di Corso Traiano.

Tratto da STORIA CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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