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L’escalation del conflitto interstatale agli inizi del XX secolo – Giovanni Arrighi


L’escalation del conflitto interstatale agli inizi del XX secolo fu seguita quasi subito da un crescente caos sistemico. Alla vigilia dello scoppio della prima guerra mondiale avevano cominciato a manifestarsi in tutto il mondo forti movimenti di protesta sociale, che affondavano le loro radici nella duplice fusione sulla quale si basava l’imperialismo del libero scambio, quella dei popoli non occidentali, da un lato, e delle masse nullatenenti, dall’altro. Essi vi si opponevano in quanto in contrasto con i loro diritti internazionali all’autodeterminazione e alla sussistenza. Nel complesso, tuttavia, la resistenza era vana.

Con il proletariato ormai componente essenziale degli sforzi bellici, lo scoppio della guerra tra le grandi potenze era destinato ad avere un impatto contraddittorio sui rapporti tra governanti e cittadini. Da un lato, aumentò il loro potere sociale, dall’altro, ridusse i loro mezzi a disposizione. La rivoluzione russa del 1917 divenne presto il fulcro di questa ondata di ribellione, con i loro leader che affermavano il diritto dei popoli all’autodeterminazione e il primato dei diritta alla sussistenza rispetto ai diritti di proprietà e ai diritti di governo.

Inizialmente, la rivoluzione del 1917 incoraggiò il revanscismo della Germania, grande potenza appena sconfitta. Il sistema interstatale risultò polarizzato in due fazioni opposte: da una parte la fazione dominante (Francia e Gran Bretagna), dall’altra i nuovi arrivati, che si presentarono come paladini dell’annientamento del potere sovietico che era di ostacolo alle loro ambizioni espansionistiche. Questo confronto culminò nella completa disintegrazione del mercato mondiale.

La costruzione dell’egemonia americana
Gli Stati Uniti dapprima divennero egemoni guidando il sistema interstatale verso la restaurazione dei principi, poi continuarono a governare e a ricostruire il sistema che avevano restaurato. Dopo la seconda guerra mondiale, a ciascun popolo fu garantito il diritto all’autodeterminazione. Sotto questo aspetto, la “decolonizzazione” globale e la costituzione delle Nazioni Unite, la cui Assemblea Generale riunì tutte le nazioni su un piano di parità, sono state i risultati più significativi dell’egemonia statunitense.

Rispetto all’imperialismo del libero scambio, le istituzioni dell’egemonia statunitense hanno ridotto notevolmente i diritti e i poteri degli Stati sovrani di organizzare a propria discrezione le relazioni con gli altri Stati. I governi nazionali sono di gran lunga meno liberi di quanto non lo siano mai stati di perseguire i loro fini mediante il ricorso alla guerra.
La caratteristica essenziale della visione di Roosevelt stava nel fatto che la sicurezza per il mondo doveva essere basata sul potere americano esercitato attraverso i sistemi internazionali. Le Nazioni Unite, con il loro appello all’universale desiderio di pace da un lato, e all’aspirazione delle nazioni povere all’indipendenza, al progresso, e a una futura eguaglianza con le nazioni ricche, dall’altro, erano destinate a incarnare questa istituzione. Le implicazioni politiche di questa visione erano realmente rivoluzionarie.

La realtà divenne più modesta dopo la costituzione delle Nazioni Unite, quando la visione di Roosevelt fu ridotta dalla dottrina Truman al progetto politico più realistico incarnato nell’ordine mondiale della Guerra fredda. La dottrina rooseveltiana di un unico mondo venne trasformata nella dottrina del mondo libero, che fece del contenimento della potenza sovietica il principio organizzativo fondamentale dell’egemonia statunitense.

Tratto da STORIA DEL MONDO CONTEMPORANEO di Domenico Valenza
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