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Giudizi di fatto e giudizi di valore. Il continuum mezzi-fini


Lo studio del comportamento organizzativo per Simon, corrisponde un’analisi delle decisioni. Il primo passo consiste nel distinguere giudizi di fatto e giudizi di valore.
I “giudizi di fatto” sono descrizioni del modo di operare, è sempre verificabile se siano veri o falsi.
I “giudizi di valore” hanno valore etico e non è mai possibile qualificarli come veri o falsi perché non esistono mezzi per farlo; essi possono solo essere accettati o rifiutati.
Scienza ed etica sono per Simon due dimensioni distinte dell’agire umano.
L’adeguatezza dei mezzi è oggetto di giudizi di fatto, mentre la desiderabilità del fine è oggetto di giudizi di valore.
La sua distinzione tra giudizi di fatto (adeguatezza dei mezzi) e giudizi di valore (desiderabilità dei fini) permette a Simon di porre in relazione mezzi e fini. Uno o più soggetti decidono di compiere un’azione in quanto la giudicano idonea a raggiungere un fine, ma tale fine è a sua volta solo un mezzo per raggiungere un fine più ampio e remoto.
Ogni azione ha sempre due facce: è al contempo un fine dell’azione precedente e un mezzo per l’azione successiva. Ne deriva che in quanto messo, essa è soggetta a dei giudizi di fatto sulla sua idoneità a raggiungere un dato fine, ed in quanto fine è soggetta a dei giudizi.
Non è allora sufficiente limitarsi a considerare i soli giudizi di fatto pertinenti all’efficacia dei mezzi; i giudizi di valore sul fine che si intende raggiungere non possono essere estromessi da un modello che intenda comprendere il modo in cui gli uomini decidono e agiscono.

Tratto da STORIA DEL PENSIERO ORGANIZZATIVO di Priscilla Cavalieri
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