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Anna Valdina



Anna Valdina: donna di grande lucidità e intelligenza. Essa viene messa nel convento delle stigmate a 7 anni; sin dal primo momento dice che non vuole farsi monaca e lo ripete continuamente, tanto che la superiora chiama il padre e gli dice di riflettere su questa cosa. Il padre infatti la toglie dal convento per alcune settimane e la porta a casa della zia. In verità, fa una cosa che aveva deciso il concilio di Trento, per provare la verità della vocazione: si riportava la fanciulla a casa per un periodo e poi, nel caso in cui fosse stata comprovata, non restituivano la ragazza al convento. Apparentemente il padre fa una cosa prevista dai canoni, ma in verità anche in casa Anna dice che non vuole farsi monaca. Il padre la minaccia di non darle più la sua pensione monastica, non darle i soldi che le consentono di vivere in convento. Senza questa pensione monastica, Anna sarebbe ridotta ad essere "schiava e serva delle sue compagne", cioè delle altre monache per potere continuare a vivere tra di loro. In ogni caso, non poteva darsi l'ipotesi di trarla fuori perché questo era contro "l'interesse della mia casa", della casata che invece prevede che lei stia in convento. Ci saranno tanti testimoni della riluttanza di Anna; c'è pure una monaca che dice che quando Anna fu professata, cioè professò i voti, Anna singhiozzava come se stesse salendo sulla forca, erano lacrime di una condannata a morte, continuando a dire che lei era stata professata a forza. Anna cerca pure un avvocato per iniziare una causa religiosa presso l'arcivescovo per dimostrare la nullità della sua professione, ma l'avvocato dice che non avrebbe mai potuto farlo senza l'autorizzazione "a lettere maiuscole" del padre. Dunque Anna vive nel convento, dove rifiuta pure di fare la badessa: dentro i conventi, le fanciulle aristocratiche fanno carriera, arrivano pure a fare le badesse. Anna rifiuta ma le altre monache che avrebbero dovuto votare dicono che mai l'avrebbero votata perché lei non è una vera monaca, quindi c'era la percezione anche all'interno del convento che Anna fosse lì solo perché obbligata. Il padre di Anna muore, così lei spera nel fratello Giovanni il quale, mentre il padre era un cavaliere molto autoritario, iracondo, il fratello è perfino peggio del padre: egli dice ad Anna che se il padre l'ha messa in convento, avrà avuto le sue ragioni, in ogni caso sarebbe stato disonorevole trarla dal convento dopo tutto il tempo trascorso lì. Anche in questo caso, nessun avvocato è disposto ad aiutare Anna. Il fratello Giovanni, che potrebbe sembrare un oppressore, in verità è un personaggio interessante: è un uomo colto, informato, nella sua casa c'erano oggetti scientifici di astronomia, possedeva anche un quadro di Caravaggio, era abbonato alle gazzette d'Italia; aveva addirittura partecipato ad una rivolta a Messina degli anni '70 del Seicento. A causa di questa rivolta, va in esilio per 12 anni durante i quali Anna gli dice che è disposta a vivere in un cantuccio nella sua casa e l'avrebbe servito come una brava sorella, non avrebbe mai parlato di matrimonio, purché la prendesse a vivere con lui. Giovanni la rifiuta di nuovo. Dunque la povera Anna non riesce a venire a capo della faccenda finché nel 1692 Giovanni muore ma fa un testamento particolare: non lascia nulla al secondo fratello Carlo che aveva già avuto tutto dal padre, due delle sorelle erano morte molto giovani (una di crepacuore per essere stata rinchiusa, l'altra poco prima di Giovanni), c'è solo Anna che sopravvive. Giovanni lascia tutto quanto il suo patrimonio ad una prelatura: istituisce una "prelatura perpetua" cioè una figura giuridico-religiosa con sede a Roma, che dota del suo intero patrimonio e nomina il primo prelato nella persona di un sacerdote messinese, suo amico con cui visse per molto tempo. Per cui, il suo gran patrimonio lo lascia alla santa sede sotto forma di prelatura che si chiamerà e si chiama oggi "prelatura Valdina" e che porta il suo stemma gentilizio. Anna allora fa causa per lasciare il convento per chiedere l'eredità della sua famiglia. Comincia un processo particolare: Anna si rivolge all'arcivescovo di Palermo, che comincia a chiamare i testimoni i quali dicono appunto che Anna non voleva farsi monaca, mentre il suo contraddittore è proprio l'erede della prelatura, Noceti. Lei lo accusa di stare sperperando uno dei più importanti patrimoni familiari, mentre Noceti si giustifica dicendo che è stata la volontà di Giovanni. Contro Anna c'è anche la badessa del monastero delle stigmate, perché se Anna esce dal convento lei deve restituire la rete monastica. Anna capisce l'antifona e fa due mosse strategiche: la prima è che dona la sua dote monastica al monastero tramite un interlocutore e tacita la badessa; seconda cosa, dona l'intero suo patrimonio (che al momento non ha) a un suo zio, Ugo Papé che è il protonotaro del re, un funzionario/magistrato importante a Palermo. A questo punto, l'arcivescovo sentiti i testimoni, decide che Anna può lasciare il convento, dopo 45 anni di velo, a più di 60 anni, dopo aver combattuto per tutta la sua vita per la nullità della sua professione. Noceti, furbo, si rivolge al papa, il quale non vuole mollare un patrimonio così ricco: comincia una "lotta" tra Palermo e Roma e il caso di Anna diventa un caso politico, poiché in Sicilia la giurisdizione in materia religiosa è stata attribuita dal papa al re: c'è una particolare istituzione che si chiama "legazia apostolica" che risale ai tempi normanni: il papa dà al arciduca normanno la potestà di giudicare anche questioni religiose perché Ruggero ha cacciato i saraceni dall'isola. Da allora però, la legazia e i suoi tribunali hanno giudicato le cause dei siciliani anche in materia religiosa. Diventa un conflitto tra la giurisdizione siciliana della legazia apostolica, e la giurisdizione romana della santa sede. Tutti danno le loro ragioni in questo caso irresolubile per come si è intrecciato, finché il re si stanca perché sta diventando un problema che coinvolge anche Madrid, oltre Palermo, nel conflitto con Roma, e così il re dice al viceré di fare un "taglio salomonico": si trova l'accordo tra le due parti e ad Anna andranno tutti i beni siciliani dei Valdina, mentre alla prelatura Valdina con sede a Roma andranno tutti gli altri beni. Il dissidio indissolubile provocato da una richiesta banale di nullità della professione ha portato a tutto ciò. Il problema della santità femminile all'interno del problema dei monasteri femminili all'interno a sua volta del problema della libertà delle donne di scegliere oppure no una strada religiosa.
Censura: l'attività di censura c'è anche in Spagna, non solo in Italia. I libri vengono letti da una speciale commissione prima di essere stampati, quindi vengono sottoposti alla valutazione della commissione. Dopo di ché, possono essere richieste delle modifiche o correzioni, si può richiedere di cancellarne parti o emendarle. L'insistenza, la presenza di tali censure è qualcosa che intercetta lo sviluppo della cultura, della scienza, della filosofia, perché il controllo sulle idee influisce molto sulla nuova produzione di sapere, la quale deve essere ortodossa, cioè deve corrispondere alle dottrine che la Chiesa ammette e approva. Nessuna innovazione è possibile in questo modo e tutto quello che è difforme da quello che la Chiesa approva e per lo più essa approva o disapprova le cose paragonandole con le sacre scritture, si capisce che da qui che la censura e l'autocensura che molti autori si infliggono da soli per cercare di passare per questo vaglio, fa sì che il progresso scientifico si allontani dalla penisola e piuttosto prenda le strade dell'Inghilterra, Francia, Germania, Olanda. La presenza della censura intercetta lo sviluppo della scienza e della filosofia. Questa cosa avviene attraverso una serie di istituti di cui la chiesa si dota: una figura cruciale è il maestro del sacro palazzo, colui che regge lo "studium romane curae", cioè la cultura che si svolge all'interno della santa sede e viene affidata a questo reggente, un personaggio colto, dotto, esperto di diritto canonico, civile, ecc. Normalmente, questo maestro viene tratto dall'ordine dei domenicani, ma non necessariamente. Per un periodo di tempo, è il maestro del sacro palazzo che assume il compito della censura di tutto ciò che viene stampato. Successivamente, quando la congregazione del Santo Uffizio si sviluppa, passa alla congregazione stessa la compilazione dell'indice dei libri proibiti: un catalogo di tutti i libri che sono stati sottoposti al vaglio per essere destinati alla stampa che, dopo essere stati esaminati, sono stati scartati perché considerati non in regola per essere stampati. È dunque un catalogo di libri esclusi dalla possibilità di stampa o, ancora, nel caso che il libro fosse stato stampato, escluso dalla possibilità della distribuzione o, nel caso fosse stato distribuito, escluso dalla possibilità di lettura. Il controllo quindi accompagna le varie fasi dei libri. Spesso nelle biblioteche ci sono libri messi all'indice e questa è la ragione per cui le biblioteche private vengono abbastanza controllate. Quando troviamo un inquisito accusato di eresia, la sua biblioteca è la prima che viene controllata perché dai libri proibiti provengono idee eretiche, che il tribunale perseguita. Quando si fa la congregazione dell'indice, il maestro del sacro palazzo, figura istituita nel XVI secolo ben prima del 1542, continua comunque la sua attività e partecipa ex officio alle riunioni della congregazione. I delegati della congregazione dell'indice sono una sorta di polizia scientifica, sequestrano, distruggono biblioteche e libri. Vi sono inoltre periodici aggiornamenti dell'indice e ci sono dei papi più permissivi di altri che invece sono molto più severi, per esempio nel 1559 esce l'indice di Paolo IV che era estremamente restrittivo e suscita molte proteste, mentre Pio IV lo modera e anzi assegna il controllo dei libri e della stampa ai vescovi. La congregazione dell'indice è una sottosezione della congregazione del Sant'Uffizio e il maestro del sacro palazzo è l'anello di congiunzione tra le due. Il rapporto tra congregazione dell'indice e congregazione del Sant'Uffizio è di subordinazione, l'una lavora per l'altra e il collegamento è fatto grazie al maestro.

Tratto da STORIA DELL’INQUISIZIONE ROMANA di Federica Palmigiano
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