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Dinamiche economiche dell'impero cinese durante la dinastia Tang

Il sistema della perequazione agraria introdotto dai Wei settentrionali ancora in epoca medioevale e confermato da tutte le successive dinastie regnanti, assicurò all’Impero una solida base sociale e una buon gettito fiscale almeno per i primi due secoli. Col tempo però il sistema della perequazione aveva perso gran parte della sua efficacia, da una parte, a causa delle varie donazioni di terra che i sovrani avevano elargito nel corso dei regni ai membri dell’aristocrazia, ai loro famigliari e ai monaci buddisti (specie durante il regno dell’imperatrice Wu Zhao); e dall’altro, a causa delle stesse contraddizioni di fondo che avevano caratterizzato anche il primo impero: ovvero che gli stessi funzionari preposti al controllo erano i membri dell’aristocrazia che maggiormente traevano vantaggio dall’inefficienza dello stesso.

Ciò nonostante furono sinceri i tentati operati dai vari sovrani per rendere effettiva l’applicazione delle regole. A far crollare definitivamente la perequazione agraria fu la rivolta di Al Lushan, che interrompendo il controllo statale permise un’accelerazione del processo di concentrazione fondiaria. Inoltre le produttive province settentrionali dell’Hebei, del Shanxi e del Shaanxi, rimasero praticamente al di fuori dell’autorità centrale anche dopo la fine della rivolta. Il governo imperiale dovette contare soprattutto sulle province meridionali, dove il sistema della perequazione agraria non era mai riuscito a diffondersi capillarmente (o almeno non quanto al Nord). Nel contesto delle province meridionali la perequazione agraria funzionava male a causa della struttura fondamentalmente latifondista e si rese quindi necessario attuare una riforma fiscale che, pur sacrificando gli obiettivi della perequazione, permettesse tuttavia di rendere applicabile il prelievo fiscale anche alle grandi proprietà. Era pure necessario riuscire ad elaborare un sistema di prelievo che potesse essere applicato anche a quelle province che si governavano in maniera sostanzialmente autonoma: il meccanismo della perequazione si fondava infatti sull’onnipresenza della burocrazia centrale, che però dopo la guerra civile era stata riorganizzata solo a livello locale e non più come corpo esteso. 
La rivoluzione fiscale introdotta da Yang Yan nel 780 mirava a risolvere questi due grandi problemi. Furono create due imposte: la prima, pagata in denaro, tassava il numero dei membri della famiglia e le loro proprietà, la seconda, pagata in natura, tassava la quantità di terra coltivata. Ai fini dell’imposta non rilevava più la differenza fra proprietari ed affittuari, fra luogo d’origine della famiglia e residenza attuale, tra agricoltori e mercanti, e , in più, l’esazione dell’imposta non veniva più effettuata dal governo centrale, ma dai governatori provinciali, i quali poi ne inviavano una parte al governo centrale. In questo modo si ovviava almeno in parte, al problema della frammentazione politica di cui dicevamo. 

Sebbene la nuova riforma avesse dato buoni frutti, essa tuttavia non riuscì ad invertire la tendenza al generale impoverimento del fisco, causato dal procedere della grande proprietà latifondista rispetto alla diminuzione dei contadini autonomi. Era questo, un problema già verificatosi presso gli Han, e non nuovo neanche alla dinastia Tang. Entrambe le case regnanti lo risolsero tassando maggiormente il commercio e, infine, istituendo monopoli commerciali. Si ricorderà quanto fatto dall’Imperatore Wudi durante il primo Impero; provvedimenti simili furono adottati nel 758, quando fu istituito il monopolio statale sul sale, seguito a breve distanza dall’istituzione di altri due monopoli, sul vino e sul tè. Già nell’arco di alcuni decenni le entrate dal commercio raggiunsero un livello molto elevato, tanto che i vari governi iniziarono ad interessarsi in misura sempre maggiore delle questioni commerciali e monetarie. Di questi anni sono anche le prime banche, istituzioni strettamente private, in grado di concedere prestiti e di convertire la moneta volante. Erano queste le prime forme di carta-moneta in Cina, costituite da assegnati che potevano essere cambiati in un’apposita agenzia (o in una sua filiale) in denaro contante. 

Dopo la rivolta di Al Lushan, nonostante la perdita del controllo delle vie commerciali nel Bacino del Tarim e dell’introduzione dei monopoli e l’inasprimento delle imposte relative, il commercio conobbe in Cina una notevolissima espansione. Ciò fu paradossalmente dovuto proprio alla crisi del potere centrale. La frammentazione politica e la conseguente autonomia delle province rispetto al centro, rese possibile un’accumulazione di risorse a livello locale prima impensabile. L’ar-ricchimento non era assoluto, nel senso che era ottenuto perché una gran parte delle risorse che prima prendevano la via della capitale (e venivano poi spesse per la difesa dei confini e altre questioni di interesse generale) ora rimanevano laddove erano state prodotte, traducendosi in miglioramento produttivi, accentramento fondiario ed espansione della domanda. Le città poste lungo le grandi arterie dei traffici interni ed esterni si accrebbero enormemente in questo periodo, rivoluzionando ciò che succedeva nel periodo precedente, quando era l’importanza amministrativa a determinare la fioritura o meno di un centro urbano. Questi erano solo gli inizi, di più ampi processi di trasformazione economica e sociale, che sarebbero giunti a maturazione nei secoli successivi e che verranno approfonditi nel capitolo successivo. 

Tratto da STORIA DELLA CINA di Lorenzo Possamai
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