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L’egemonia tebana (371 - 362)

L’egemonia tebana (371 - 362)
Appoggiata dai persiani l’egemonia di Sparta sulla Grecia appariva più forte che mai; ma ancora una volta gli spartani dovevano scontare la loro incapacità di trovare una forma di dominio che non dipendesse soltanto dalla forza militare. Così, anche questa volta, i metodi eccessivamente arroganti e brutali con cui Sparta impose al potere governi oligarchici a città di tradizione democratica, dovevano alla fine portare ad una nuova ribellione contro il suo potere. 
Ad approfittare di questa situazione di malanimo fu Tebe, che grazie alla guida di due abilissimi uomini politici, Pelopida e Epaminonda (che erano anche amanti fra loro), si sbarazzò del governo oligarchico insediato da Sparta e riunì tutte le polis della Beozia in una nuova alleanza antispartana. Questo successo di Tebe, che diventava ogni giorno più forte, spinse Atene (che fino a poco prima era stata in forte contrasto con Sparta), ad addivenire a una nuova pace con la storica rivale (371 a.C.); tutti del resto ritenevano la sconfitta di Tebe un fatto ormai prossimo. 
La guerra scoppiò quello stesso anno, ma i tebani sapevano di combattere per l’esistenza ed opposero all’esercito spartano (che tra l’altro era decisamente superiore in numero) una resistenza tenacissima. Ma se il merito della vittoria deve essere additato ad uno fra tutti, esso spetta certamente ad Epaminonda, che era stato scelto a comandante in capo dell’esercito. Egli aveva attentamente studiato la tattica militare spartana, che consisteva nello sfondare al centro, dove combatteva lo stesso re con i suoi migliori soldati. Così Epaminonda schiero le sue truppe in obliquo, sguarnendo il centro per rinforzare le ali, specialmente quella destra, dove era schierata una speciale falange di trecento guerrieri che aveva selezionato personalmente. Gli spartani caddero nella trappola e disorientati furono accerchiati dalle due ali tebane che ne fecero massacro (Battaglia di Leuttra, 371).
La sconfitta fu un colpo mortale per Sparta: più ancora che i caduti in battaglia a ferire era il fatto che la piccola ed insignificante Tebe avesse sconfitto l’esercito spartano! Sparta infatti non era mai stata sconfitta prima di allora: i trecento eroi caduti alle Termopili non erano infatti una sconfitta, né lo erano le disfatte per mare (dato che Sparta non era mai stata una città di marinai); ma la sconfitta di diecimila soldati spartani contro seimila soldati tebani in una battaglia campale era un evento unico, che scioccò tutta la Grecia e primi fra tutti i tebani stessi che avevano ottenuto al vittoria. Era la prima volta che Sparta veniva umiliata e a cadere non erano perciò i suoi soldati ma il suo mito di invincibilità. Sparta non si sarebbe mai più ripresa dalla sconfitta di Epaminonda. 
Gli spartiati erano del resto poche migliaia e il loro predominio sul Peloponneso e sulla Grecia si basava prima di tutto sulla paura che il mito di Sparta imponeva a qualsiasi avversario: naturale quindi che, persa una parte consistente dei propri cittadini-soldati a Leuttra e infranto l’alone di invincibilità, molte delle città della Lega del Peloponneso cogliessero l’occasione favorevole per liberarsi del giogo spartano e che pure gli Iloti (gli abitanti nativi della Laconia che gli spartani avevano ridotto a schiavi) trovassero finalmente il coraggio per ribellarsi a Sparta. Tanto più che Epaminonda era entrato con il suo esercito nel Peloponneso, dove aveva apertamente sostenuto e fomentato le polis alla ribellione, giungendo infine anche in Laconia, la regione in cui era sita Sparta, il cuore stesso dell’impero, che mai nessuno esercito straniero aveva solcato. 
Subito dopo la sconfitta di Epaminonda Sparta fu quindi impegnata a resistere e non ebbe alcun modo di contrattaccare. Per qualche tempo Tebe fu padrona della Grecia. 
Ma fu proprio questo grande potere a distaccarla sempre più da Atene e quando Tebe iniziò i lavori per la costruzione di una nuova grande flotta, la frattura fra le due città divenne definitiva e Atene strinse alleanza con Sparta in funzione antitebana. La guerra che ne scaturì fu combattuta nel Peloponneso, ma intanto Tebe aveva già perso il suo più abile uomo politico, Pelopida, caduto nel 364 combattendo in Tessaglia. La battaglia decisiva fu disputata a Mantinea nel 362 e la tradizione la ricorda come la più grande mai combattuta da greci contro greci: circa 30'000 fra tebani e loro alleati si contrapponevano ad un numero un poco inferiore di ateniesi, spartani e loro alleati. Ma l’esito dello scontro - che le fonti suggeriscono favorevole ai tebani - fu stravolto dall’improvviso ferimento a morte di Epaminonda, che lasciò in un momento decisivo le forze tebane senza guida. Il risultato finale della battaglia fu perciò incerto: entrambe le coalizioni potevano vantare la vittoria ma ancora una volta entrambe avevano in realtà perso. La situazione infatti era giunta ad uno stallo: nessuna delle tre grandi città greche aveva la forza di imporre il proprio primato, però ognuna aveva quello di impedire il primato altrui. Proprio per questo motivo subito dopo Mantinea si giunse ad una pace generale fra tutti i contendenti. Cessava quindi l’egemonia tebana ma ad essa non si sostituiva né quella Ateniese, né quella di Sparta, che dopo Mantinea ebbe nelle vicende greche solo un ruolo di secondo piano. Il suo mito si consegnava alla Storia perché Sparta non era città da mezze misure: l’egemonia assoluta delle armi era tutto ciò che aveva e persa quella perse anche tutto il resto; un crepuscolo già tinto di scuro avvolse velocemente le modeste costruzioni della piccola città peloponnesiaca che solo grazie alla sua disciplina ferrea era riuscita ad imporre il proprio potere a tutta la Grecia e anche al grande Impero persiano. 

Tratto da STORIA DELLA GRECIA ANTICA di Lorenzo Possamai
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