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Il Museo Pio-Clementino


Il Museo Pio-Clementino fu voluto dai papi Clemente XIV (1769-1774) e Pio VI Braschi (1775-1799) per raccogliere i più importanti capolavori greci e romani custoditi in Vaticano. Ennio Quirino Visconti è importante per l’identità del 2° museo pontificio, collaborò al catalogo e all’ordinamento del museo stesso, al progetto decorativo delle sale e a molte delle scelte architettoniche. Visconti volle ricreare ambienti che valorizzassero le opere e lunghi commenti riservati a ciascuna delle opere presenti in museo in cui analizza la matericità dell’opera e la sua storia. ( influenze di Caylus e Winckermann). L’azione del museo Pio-Clementino comportò un impegno economico elevato perché implicò la creazione ex novo di un vero e proprio spazio espositivo pensato per le sculture. I primi lavori incominciarono nel 1771 e Papa Clemente 14 Ganganelli incaricò l’architetto Alessandro Dori, fu scelta l’area del palazzotto del Belvedere per il piccolo museo delle statue. Alla morte di Dori gli successe Michelangelo Simonetti che intervenne per portare a termine il cortile ottagono, un’area aperta ma coperta dove raccogliere i capolavori storici delle collezioni vaticane tra cui l’apollo e il laocoonte. Simonetti ricrea spazi ispirati a quelli che ospitavano un tempo le statue antiche esposte come la sale delle muse e la monumentale sala rotonda. L’arte viene consacrata definitivamente come bene pubblico in quanto motore di diffusione culturale, strumento per la formazione  degli artisti e motore degli sviluppi economici. Le tante opere offerte allo sguardo degli studiosi raccolte in uno stesso luogo e ben ordinate, si imposero nella loro fisicità, già Caylus a Parigi privilegia un rapporto di prima mano con le opere. Per il Conte de Caylus è indispensabile vedere le opere per poterne parlare e conoscerle profondamente. Lo storico aveva inaugurato un metodo analitico, una sorta di autopsia dell’oggetto per arrivare a capire la sua epoca d’appartenenza, il luogo d’origine e i significati più nascosti. Per le sue indagini ricorreva alla chimica, meccanica, storia naturale. Importanti sono le forme e la tecnica di esecuzione. La differenza più sostanziale tra i due musei restava la collocazione delle opere nel tessuto architettonico: Visconti non si accontentò di stabilire relazioni tra gli oggetti in sequenza, volle piuttosto ricreare ambienti che valorizzassero l’aspetto estetico delle opere, che le facessero risaltare, che le consentissero una fruizione articolata. Nel 700 nuova storiografia stimolata dall’interesse per la fisicità delle opere d’arte, nuovi strumenti desunti dalle scienze naturali. I dipinti allegorici di Mengs e Nocchi hanno registrato inconsapevolmente i cambiamenti avvenuti nella storiografia e nell’idea stessa di museo nell’arco di meno di 40 anni. L’allegoria della storia di Mengs 1772 è giocata sulla figura centrale della storia che scrive sulle spalle del tempo. Nel dipinto di Nocchi del 1790 protagonista non è la storia ma le personificazioni delle tre arti. Il pio clementino era volto a documentare il processo evolutivo degli stili
dell’arte antica piuttosto che a restituire volti agli antichi protagonisti della storia. Nuovi atteggiamenti culturali che spingevano verso l’unità delle arti. Le opere dell’antichità vengono classificate in base allo stile e quindi all’epoca piuttosto che alla sola iconografia.

Tratto da STORIA DELLA CRITICA D'ARTE di Alessia Muliere
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