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Giancarlo Mazzacurati e la storia pragmatica


Critico letterario e scrittore, nato a Padova nel 1936 e morto nel 1995. Ha insegnato Letteratura italiana all’Università di Napoli e all’Università di Pisa. Tra le sue principali pubblicazioni numerose sono quelle sulla cultura letteraria del Cinquecento. Il lavoro di critico di Giancarlo Mazzacurati si è sempre dibattuto tra una tensione storiografica tendente a proiettare macrosguardi epocali e una tendente a microsguardi su casi discreti e su orizzonti individuali.
La passione di Mazzacurati per il quadro carico di significato sociale, della storicità delle forme, degli ampi sviluppi cronospaziali, si è associata in lui fino a correggersi e a smentirsi con la cura dimostrata per l’accidentalità dell’accadere storico, per la corposità delle singole esperienze, per l’insorgere continuo dell’eccezione e della diversione.
Ha sempre avuto un modo tutto suo di vivere lo statuto contraddittorio della storiografia letteraria, sempre, inevitabilmente, combattuta tra il generale e il particolare, tra la formula comprensiva e l’interrogazione dubitativa dei soggetti testuali, tra l’ambizione totalizzante epocale e la minuzia analitica.
Mazzacurati in ogni fase della sua carriera di critico e storico della letteratura mostra una inquieta coscienza ermeneutica, una quasi automatica e connaturata disponibilità a non bloccare le definizioni storiche, le tipologie, le connessioni, i grandi modelli formali, in comode e rassicuranti modelizzazioni formali ricchi di dati rassicuranti ed onnicomprensivi, tenendo invece conto dei salti e delle inevitabili deviazioni dei percorsi, degli intoppi e delle dissociazioni che non possono non rendere problematico ogni tracciato storico, specialmente quello della letteratura.
Gran parte degli studi di Mazzacurati sono stati orientati verso una storia degli intellettuali che fosse anche storia delle forme. In altre parole, non gli interessa una storia degli intellettuali basata sui loro rapporti col potere o col mondo sociale, bensì una storia “pragmatica”, che analizzi innanzitutto le forme, i modi di rappresentazione, le proiezioni degli schemi di comportamento e di comunicazione, di risultati e di possibilità artistiche, che permettano di riconoscere un volto essenziale del tempo vissuto, nella sua stessa consistenza fisica e materiale.
Il critico napoletano ha una vera e propria avversione per le formule e gli schemi precostituiti, per modelli storiografici cristallizzati, per le visioni lineari del tempo storico, che considera al massimo puntelli e segnali del discorso critico, derivanti, badiamo bene, non da inerti presupposizioni ideologiche ma da concreti lavori di analisi formale; i puntelli stessi poi sono soggetti a continue verifiche col reale e non sempre possono mantenere saldamente il loro ruolo.

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