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Eugenio Montale – Annetta – Arletta


La lirica, composta nel 1930, dava il nome alla plaquette, anticipo delle Occasioni, che Montale pubblicò nel 1932; ora apre la quarta e decisiva sezione finale del libro, nella quale anzi Isella ha opportunamente osservato la dialettica tra questo personaggio femminile e Clizia, l'incarnazione del femminino più potente di Montale.
Sono quattro strofe, alternatamente di cinque e sei versi, endecasillabi o versi lunghi rimati, con un solo settenario a 5, come per un momento di attesa. Ma il gioco esauriente delle rime fa intravedere, come è stato notato, una struttura sottogiacente di quartine rimate in forma prima incrociata poi alternata poi baciata, chiuse da un più complicato sestetto finale; il sestetto, poi, rilancia a modo suo i giochi diversi di rime che fino ad allora Montale aveva realizzato; segnaliamo a tal proposito: v.18 che riprende il v. 2; il v. 22 che riprende la sera del v. 3.
I versi lunghi tendono ad occupare la testa delle strofe, gli endecasillabi la coda, sviluppandole più melodicamente, e nell'ultima crescente è solo il verso d'avvio, endecasillabi tutti gli altri. In un certo senso siamo sempre nell'ambito delle variazioni che Montale suole operare sulle sue liriche a quartine rimate di base endecasillabica.
La Casa dei doganieri mette in scena un incontro di tipo tutto particolare e singolarmente ambientato fra l'io e un personaggio femminile accomunati da una diversa inettitudine alla vita concreta. Secondo la regola, dopo gli Ossi e il distacco conseguente dell'autore dalla sua terra, la Liguria, il paesaggio natìo non è più solare ed arso ma notturno, se occore minaccioso (sera, oscurità, rara luce) sicché muta di funzione rispetto alla precedente raccolta anche il vento 13 – 14, lì elemento sostanzialmente vitalistico, qui indice di lontananza e trascorrere del tempo.
Centrale è anche in questa lirica il tema montaliano per eccellenza della memoria intermittente e sempre sul punto di sfaldarsi: altro tempo frastorna / la tua memoria; un filo s'addipana. L'altro tema, contrappuntistico, è quello dell'inquietudine della fanciulla (v. 4) dilatato poi dallo sconvolgimento quasi espressionistico del paesaggio o ambiente che le fa da camera di risonanza (v 8 → 14). Quello che qui colpisce ancor di più è la coesistenza fra una situazione di stasi, atonia e vuoto e il dinamismo aggressivo della natura. La presenza – assenza della donna è marcata da una serie di negazioni: non ricordi, non è più lieto, il calcolo dei dadi più non torna.
A cavallo fra seconda e terza strofa la parola passa, per così dire, al poeta, come indica anche la replicazione in anafora di Ne tengo (ancora) un capo 12 – 15, stretta alla tipica immagine montaliana del filo 11. Il fallimento nel tentativo di conservare nella memoria un legame col passato è fissato grammaticalmente dalla doppia ritorsione con ma (12 e 15) e quanto alle immagini da termini che dicono allontanamento e dispersione, facendo eco a quelli della prima parte (s'allontana, gira, fuga).

Tratto da STORIA DELLA LINGUA ITALIANA di Gherardo Fabretti
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