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Un idillio rusticano : Mastro Don Gesualdo


Russo, Momigliano e Mazzacurati, i migliori interpreti di Verga, hanno parlato per queste pagine di idillio. Gesualdo, che la dialettica perversa della roba e dell'ascesa sociale trascina in città per sposarvi una nobile squattrinata e compromessa che non l'ama, e poi, vinto, morirvi, qui è nel suo riposante elemento: la campagna, gli animali, la dolcezza della sera e la mite serva – amante Diodata: arricchito, ma di nuovo tornato alle sue origini, al suo eden. È un delizioso duetto, cui i modi rudi di lui non tolgono tenerezza; in qualche maniera una sosta, dato che la forma tipica del romanzo è il concertato: ma non la coralità ripetitiva e arcaica che avvolge i destini individuali dei Malavoglia, bensì un contrapporsi di voci discordanti e ostili, espressione di quella società cittadina borghese e aristocratica dalla quale pian piano sarà stritolato il parvenu che nella sua ascesa economica aveva attentato all'ordine costituito, pur cercando di inserirvisi.
La scena è inquadrata tutta, con lenti movimenti di macchina, dal punto di vista di Gesualdo, anche quando Verga non usa, come avviene dal par. 38 in poi, la sua tecnica prediletta del discorso indiretto libero. Non può essere altro che il sentimento del mastro, ad esempio, e non del narratore onnisciente, quello che le ciabatte erano...una grazia di Dio, o il povera bestia! o anche il suo raccolto lì; e senza dubbio si deve dire lo stesso per la descrizione di Diodata, o almeno per alcuni momenti di essa: sembrava proprio una ragazzetta. Tutto ciò immerge la descrizione stessa in un'intimità che molto raramente il personaggio di Gesualdo, e il romanzo, conoscono altrove. La spiccata individualità del protagonista, che in tutto il libro si oppone alle figurine che sono per lo più gli altri personaggi, qui nion si esprime nell'azione mirata e impetuosa o nel gesto brusco ma nel placato seppure orgoglioso ripiegamento su sé stesso.
La preparazione della cena contadina è accuratamente rappresentata, quasi posta sotto ai nostri occhi, con uno scatto descrittivo in sintassi nominale sul fiasco che equivale a un primo piano (il fiasco pieno davanti); e le fa da contrappunto la sobria descrizione del notturno, distribuita fra tre sensi diversi, tatto (il venticello fresco), udito (trillare dei grilli) e olfatto (i covoni) che dice anche la ritrovata pace e pienezza vitale del protagonista. E le inquadrature dei vari animali, che completano con la vista l'esperienza sensoriale di Gesualdo, dando luogo nel paragone finale con la processione di lucciole a un attimo di straordinario lirismo, pur sempre commisurato alla sensibilità e al mondo del protagonista, queste inquadrature non sono funzionali soltanto alla caratterizzazione del momento sentimentale dell'uomo, ma anche a quello del personaggio di Diodata. Di lei sono infatti rilevati, accanto alla servile e contadinesca taciturnità, gli aspetti mitemente animali, cani, buoi e pure una marmotta. L'arcaicità culturale che altrove Verga ha saputo esprimere in varie forme, qui è centrata su quella vicinanza o indistizione fra umanità e animalità che l'Illuminismo – secondo Horkheimer e Adorno – ha spezzato. Diodata, proprio per la sua “animalità”, è la creatura più umana del romanzo.
L'assimilazione della ragazza al mondo animale riflette sì il punto di vista di Gesualdo, ma suggerisce anche una solidarietà obiettiva dell'una con gli altri che di quel mondo contadino denota l'unità, e per Gesualdo il sapore pieno e integro. Il ritratto di Diodata, in cui rifluiscono tratti di quello di Nedda, include riferimenti ellittici ma chiari al suo duro passato ma è improntato ad un'affettuosa e commossa abbondanza: capelli morbidi e fini, occhi castagni timidi e dolci, begli occhi di cane carezzevoli e pazienti e però gli stenti, la fame, le percosse, le carezze brutali, lo splendido limandolo, solcandolo, rodendolo, la doppia figura etimologica incrociata lividore – livide e occhi – occhiaie. È come se Verga (e Gesualdo) ne volesse sottolineare tutti i tratti di femminilità e bellezza a dispetto della dura storia, ma pur sempre attraversati, scavati da questa. Da parte sua la scherzosa sollecitudine del padrone per lei si fissa nel tratto stilistico della geminazione allocutiva: Mangia! Mangia!; Brava, brava; Dormivi!...Se te l'ho detto che dormivi!...
Ma l'idillio è più propriamente una pausa, una tregua. Già nel modo con cui Gesualdo vive il suo paesaggio non c'è solo contemplazione disinteressata e abbandono riposante, ma anche compiacimento per quella roba che con tanta fatica ha saputo procurarsi.
L'impasto linguistico del Mastro è notevolmente diverso da quello dei Malavoglia, sia per differenza ambientale che per la maggior coscienza acquisita da Verga del proprio ruolo di scrittore nazionale. I sicilianismi si limitano a poco: onze, tarì, salma e  cafisi. I toscanismi sono invece frequenti, e spesso da interpretare come manzonismi: cantuccio, suggezione, bica, udivasi e le altre parole con enclitica in -si.


Tratto da STORIA DELLA LINGUA ITALIANA di Gherardo Fabretti
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