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Il monologo del burattino di Collodi

Il monologo del burattino di Collodi



In mezzo ai due dialoghi è inserito il lungo racconto che il buratini fa delle sue recenti disavventure, di un'ampiezza simile solo a due altri monologhi del libro, ai capp. 17 e 24. In questo caso la regia stilistica di Collodi si avvale, molto significativamente, di tutt'altro registro rispetto al rimanente del capitolo. Dal punto di vista tematico il racconto di Pinocchio è dominato dall'ossessione della fame, che fa evidentemente aggio sul problema dei piedi bruciati, tanto che è l'unica cosa che dapprima Geppetto capisce della situazione; appunto fame ne è la parola chiave, eccezionale per insistenza nonostante la tendenza collodiana alla ripetizione, che abbiamo osservato in altri luoghi del capitolo.
È soprattutto lo stile sintattico a sterzare in questo vero e proprio pezzo di bravura di Collodi, azzeccatissima mimesi di un parlato del tutto particolare con cui lo scrittore cambia completamente le proprie carte in tavola. Quanto il suo fraseggiare è generalmente breve, limpido e razionale, messo ulteriormente in rilievo come tale dall'ariosità della paragrafratura, altrettanto il racconto di Pinocchio si aggroviglia in modo irrazionale per ben quindici righe, con un solo punto fermo da 32 a 38. Le subordinate sono minime, semplici, e i vari episodi di questa sorta di concentrato favolistico sono collegati quasi sempre dalla congiunzione e, spesso secondo lo schema oppositivo, tipico dell'egocentrismo del burattino, e lui – e io. Questa cascata esprime inevitabilmente l'accumulazione e il disordine a dispetto dell'ordine che regola il rimanente del capitolo: nella rievocazione di Pinocchio saltano i rapporti temporali di prima – dopo a favore di un continuo hysteron proteron, e ancor più saltano i logici rapporti di causa ed effetto, ed è per questo che sentiamo di continuo in bocca al burattino delle pseudo – causali: prova ne sia, motivo per cui, perché avevo. E a sottolineare ancora immediatezza infantile e affannosità vertiginosa del racconto sta pure il fatto che mentre nei dialogati del capitolo Collodi varia attentamente, come visto, i verba dicendi, qui si sussegue in esclusiva dire, anche in enunciazioni molto ravvicinate; in ciò pure Pinocchio non sembra poter districarsi dal cumulo ossessivo e quasi inanalizzabile delle sue recenti avventure, che lo travolge costringendolo ad espressioni elementari e fortemente reiterate.

Tratto da STORIA DELLA LINGUA ITALIANA di Gherardo Fabretti
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