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Lo stile di Matteo Maria Boiardo


Però Boiardo, a differenza di altri, come Poliziano, mette ogni cura nel far sì che le singole ottave non siano unità autonome, cose in sé, ma parti di un flusso narrativo superiore: come si vede anzitutto dai collegamenti di tipo capfinido, almeno fra 3 e 4 (colpo), 10 e 11 (taglia), 14 e 15 (Barone) mentre a 12 – 13 la preghiera di Agricane è distribuita con grande intuizione registica fra l'ultimo verso di una strofa – Io credo nel tuo Dio che morì in croce – più pausa e tutta la seguente.
Disinvolta – e in linea con la tradizione canterina – è la continua variazione dei tempi verbali, con passaggi anche velocissimi dai tempi del passato al presente storico o “astanziale” (v. subito l'ottava 4) ma non senza effetti notevoli: Gionse nel scudo e tutto l'ha partito (passato prossimo risultativo); perse la vista et ha (anche questo risultativo) la faza bianca...Chiamava Orlando...diceva in bassa voce... (imperfetti continuativi).
Per il resto troviamo i consueti gusti forti della cucina boiardesca nell'Inamoramento. Iperboli: e il scudo come un late a meglio taglia (4,2); E tanto ussito è fuor di conoscenza / che non sa se egli ha il capo o si egli è senza (6, 7-8). Un paragone ugualmente diffuso come quello fra il furore di un guerriero e il leone che rugie...per la foresta (6, 1-2) e le espressioni divertitamente popolaresche quali Frate mi facio....
Quello però che è peculiare in questo episodio, e ne fa la speciale grandezza, è l'ascesa dalla solita atmosfera di roboante e quasi sportiva competizione guerresca, condita di sali ora popolareggianti ora cavallereschi, e sogguardata dall'autore con un impercettibile sorriso, fino al sublime della conversione, della richiesta d'aiuto, del pianto condiviso. La morte del re barbaro che conserva nella rigidità della morte i suoi attributi di grande eroe come fosse un guerriero di Kurosawa innalza il poema alle vette della solennità.
Quest'ultimo è uno degli episodi che mostra come il poema boiardesco, per quanto indubbiamente concepito per la corte ferrarese, abbia in sé tutta una serie di elementi precortigiani, arcaici, diciamo pure feudali. Anche in virtù delle fonti cui Boiardo largamente attinge, antico – francesi e loro derivati, la sua epicità è ancora un'epicità medievale, ben differente dalla rinascimentale, che culminerà con Tasso; una epicità senza eloquenza. La stessa transizione dal motivo guerresco e cortese a quello religioso che si attua in questo episodio è verbalizzata con la massima semplicità. Del resto la lirica del Conte è del tutto anteriore e diversa da quella propriamente cortigiana che le terrà dietro.
Come fosse in origine la lingua del poema è impossibile stabilirlo dalle scorrettissime stampe su cui, pur necessariamente, si basa l'edizione citata sotto, che per l'impasto linguistico è del tutto inattendibile; enorme è la distanza dalla lingua degli Amorum Libri e altrettanto lo è la prosodia; né questo impasto, con tale abbassamento rispetto a quello delle liriche, è spiegabile semplicemente col passaggio ad un genere più “popolare”. Sicuramente originari, in queste condizioni, sono solo i pochi fenomeni padani in rima, se irriducibili: ascoltati in rima con due participi; sostenire in rima con due infiniti di quarta; sacia in rima con le scempie facia e bracia; gionte rimato con fonte.

Tratto da STORIA DELLA LINGUA ITALIANA di Gherardo Fabretti
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