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Il crollo del romanticismo musicale in Italia

Il crollo del romanticismo musicale in Italia


Intanto l’impianto melodrammatico italiano, basato sugli schemi del romanticismo, finisce per crollare definitivamente. Rimane l’abitudine alla retorica romantica, ma ormai svincolata dal mondo spirituale che una volta gli apparteneva Il nuovo melodramma italiano verrà definito verista o naturalista: caratterizzato dalla scissione dei suoi elementi (vocalità, melodia, accompagnamento sinfonico, libretto, intrigo romanzesco, gestualità retorica), che perpetuano gli atteggiamenti formali di sempre senza però conservarne la congruenza. La vocalità tende ad affermarsi per se stessa, la melodia perde la sua organicità, l’orchestra si fa sofisticata, il libretto mescola livelli di lettura molto diversi.
Gli operisti del periodo furono raggruppati in quella che fu chiamata “Giovane scuola” e che riuniva principalmente Mascagni, Leoncavallo e Puccini, oltre a Cilea e Franchetti. Va detto che il loro teatro fu definito verista solo perché Mascagni ne fu iniziatore con Cavalleria rusticana, e subito dopo Leoncavallo coi Pagliacci.
Pietro Mascagni (Livorno 1863 – Roma 1945) era uno spirito eclettico, e i suoi drammi spaziano dal romantico all’idillio paesano, passando per impressionismo, simbolismo medievaleggiante e dannunzianesimo. I suoi caratteri specifici erano la virulenza espressiva, di solito sfogata nella vocalità tenorile, la sopraffazione emotiva, l’esaltazione espressiva; tutto esasperato da una armonizzazione ricercata. L’opera di Mascagni si offre come incarnazione artistica della volontà di potenza approdata alla provincia culturale italiana, e volgarizzata nel costume, che Mascagni coglie nel momento della sua piena emergenza storica, mentre si erge ad ideologia e politica nazionale.
Ruggero Leoncavallo (Napoli 1857 – Montecatini Terme, Pistoia 1919) destò grande disorientamento coi Pagliacci, per il contrasto tra la prosopopea melodrammatica con cui presumeva di interpretare il soggetto passionale e sanguigno, e l’effettiva sensibilità del musicista, che era da operetta e da romanza da saloon.
Giacomo Puccini (Lucca 1858 – Bruxelles 1924) è colui che pone seriamente in crisi la vecchia concezione del melodramma, individuando una percezione del tempo che se non era affatto nuova
per il romanzo moderno, lo era per il melodramma. Il vecchio tempo rappresentativo, cede il posto al tempo moderno, discontinuo, multidirezionale e relativo. Il tempo della quotidianità è fatto da una catena di eventi drammatico – musicali momentanei protesi di continuo fuori della propria attualità, o verso il passato o verso il futuro, palpitanti nel ricordo e nel presentimento, fatto di punti di vista svariati, ora soggettivi, ora oggettivi. È un melodramma che riflette le insicurezze della condizione piccolo – borghese contemporanea, che turba intensamente lo spettatore.
Nella Boheme il tema è quello dell’esistenza come addio costante alla vita, raffigurata nel dileguarsi della giovinezza povera e spensierata dei personaggi. Nella Tosca il tema è quello della consuetudine domestica tra Floria Tosca e Mario Cavaradossi, cui il capo della polizia e la macchina drammatica stessa vengono a far violenza.
In Madama Butterfly la temporalità si estende e si dilata nella vana attesa dello sposo americano da parte della piccola giapponese che l’ha incautamente sposato. Infine l’incompiuta Turandot, ispirata ad una fiaba di Carlo Gozzi.

Tratto da STORIA DELLA MUSICA di Gherardo Fabretti
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