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La fase "impressionista" della musica di Debussy

La fase "impressionista" della musica di Debussy

Tra il 1897 e il 1899 ultima invece i Trois Nocturnes per orchestra che maturano compiutamente quelle novità timbriche e quel libero fluire della costruzione formale inaugurate dal Prélude à l’après – midi d’un faune. Qui infatti il gioco degli occultamenti formali si fa ancora più sapiente: il flusso sonoro si addensa in immagini che solo a tratti acquistano consistenza tematica e profili precisi e definibili; raramente il tempo è diviso in parti proporzionate, ben memorizzate e percettivamente riconoscibili, anche se ciascuna è dotata di una sua indipendenza e di un suo equilibrio ben preciso, anche se mai palesato.
Fu questa particolarità a far si che la musica di Debussy fosse definita “impressionista”. Non si voleva fare riferimento al coevo movimento pittorico, ma esemplificare quell’abitudine del compositore di procedere non per temi e sviluppi connessi da ragioni di continuità, ma per immagini sonore fra loro quasi dissociate. In anni recenti l’etichetta di impressionismo è diventata più problematica e meno generica; ci si è chiesti dunque se effettivamente non esistessero dei rapporti di congruenza esplicita tra Debussy e i pittori impressionisti.
In effetti gli impressionisti usavano spesso dividere il colore in piccoli frammenti accostati, che osservati nel loro insieme producevano effetti ottici cangianti e luminosi; il modo debussiano di trattare l’orchestra in gruppi solistici non era poi molto diverso. E gli impressionisti tendono a fissare sulla tela attimi fuggenti e irripetibili, come la luce colta in un momento particolarissimo della giornata o del paesaggio; Debussy crea atmosfere sonore fissate attimo per attimo nella sua partitura.
Si è anche parlato di “simbolismo” a proposito della sua musica; non è quindi illegittimo tentare un esperimento comparatistico coi poeti simbolisti, così come si è prima fatto con i pittori impressionisti. Ci sono in effetti analogie profonde: la parola ambigua dei poeti simbolisti – specie Mallarmè – deviata verso accezioni improprie rispetto all’uso comune, e che proprio per questo recano una miriade di connotazioni semantiche suggestive, non è poi molto diversa dalle immagini sonore di Debussy, che suggeriscono potenziali significati mai definiti pienamente.
Sintomatici di questa affinità sono i due libri di Preludi per pianoforte (1910 – 1913) dove la suggestione dei vari titoli (Feuiless mortes, Le vent dans la plaine ecc..) è collocata alla fine, e non all’inizio del pezzo, come si usa comunemente. Si è anche osservato come le immagini sonore di Debussy, alla stregua di quelle verbali e visive dei poeti e degli scrittori, rispondano all’idea tipica delle poetiche simboliste secondo la quale ogni immagine artistica non imita e non riflette le apparenze del mondo, ma rinvia suggestivamente ad un mondo “altro”, diverso da quello comune ed apparente, ad un mondo che sfugge misteriosamente ad i nostri strumenti di conoscenza.
Negli ultimi anni troviamo le musiche di scena per il Martyre de Saint – Sebastien (1911) che tocca vertici assai elevati nonostante la distanza col testo, opera di D’Annunzio. Tirando le fila del discorso, possiamo dire che Debussy, per quanto fortemente influenzato dal sostrato culturale in cui ebbe a operare, rimase sempre un musicista; rischioso dunque etichettare i suoi lavori con definizioni che appartengono a linguaggi diversi da quello musicale, per quanto ci si possa armare di costruttivi propositi sincretistici.
Il compito specifico della forma musicale è quello di organizzare la costruzione del tempo, dal momento in cui un brano comincia al momento in cui si conclude. Debussy altera radicalmente il senso classico e romantico del tempo, basato sulla enunciazione iniziale di formule fondanti ( i cosiddetti “temi”), sul loro sviluppo logico, sul loro intreccio e sulla loro conclusione o trasformazione finale. Se prima il tempo musicale era occupato da una concatenazione coerente di eventi, da una solida razionalità interna, da attese certamente procrastinate ma alla fine esaudite, ora il tempo, quello debussiano, è scisso in istanti più o meno duraturi, ma sempre caduchi, in momenti che non rinviano necessariamente a momenti successivi, e arriva a conclusioni che in realtà spesso non concludono affatto, dissolvendosi per estinzione. Tutta la tecnica di Debussy sembra volta a creare nell’ascoltatore quel senso di caducità del tempo, di dissoluzione degli istanti, di perdita della continuità. È questo l’apporto più originale del musicista all’estetica simbolista del “mistero”.

Tratto da STORIA DELLA MUSICA di Gherardo Fabretti
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