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La musica sovietica di Prokof'ev


Sergej Sergeevic Prokof’ev (Ekaterinoslav 1891 – Mosca 1953) lasciò la Russia nel 1918, e fino al 1922 la sua attività si svolse prevalentemente negli Stati Uniti. Nel 1923 si stabilisce a Parigi e solo nel 1933 decide di tornare in patria, dedicandosi quasi completamente alla composizione. In Unione Sovietica ebbe riconoscimenti ufficiali, tra cui due volte il premio Stalin (1941 e 1947), ma subì anche duri attacchi, come quello del 1948 che lo accusava di orientamento formalista e antipopolare.
Nonostante gli scandali suscitati in gioventù, sia come pianista sia come compositore, Prokof’ev è sostanzialmente estraneo alle problematiche delle espressioni più complesse e avanzate della musica del Novecento: l’energia motoria, la lucida secchezza di contorni, le aggressive asprezze timbriche e armoniche, il violento dinamismo, il gusto per un pianismo “percussivo”, che caratterizzano chiaramente l’originalità della sua poetica fin dalle imperiose affermazioni giovanili, potevano si scandalizzare, ma non rifiutavano mai una sostanziale immediatezza e disponibilità alla comunicazione.
Tutta la sua produzione è pervasa dall’inclinazione al lirismo, ad un’effusione melodica intensamente sentita e aliena da scorie tardoromantiche. È Prokof’ev che infatti si affianca alle innovazioni di Ravel e Debussy, ma si aliena da loro proprio per essere l’alternativa affatto modernista alla scuola del pianismo romantico. Segno inequivocabile del suo antiromanticismo, e della sua preferenza per lo stile neoclassico è certamente la Sinfonia classica, scritta tra il 1914 e il 1915 sulla modello del sinfonismo haydniano. Questo atteggiamento di fondo consente di ravvisare una sostanziale unità nella sua produzione, dalle più radicali esperienze giovanili alla ricerca di una più distesa chiarezza discorsiva che caratterizza l’ultimo periodo.
Molto apprezzato anche in campo drammatico, Prokof’ev trattò soggetti operistici quantomeno dissimili, come la favola gozziana L’amore delle tre melarance e il racconto gotico L’angelo di fuoco, la prima briosa e scintillante, la seconda cupa ed inquietante, espressionista. Era un uomo profondamente scisso tra tendenza modernistica, sollecitata dal pubblico e dalla critica occidentali, che finivano quasi per farlo sentire ingessato, e tradizione russa, che lasciava libero sfogo alla sua inclinazione lirica.
I motivi del suo ritorno in patria vanno ricercati dunque sia nell’accoglienza trionfante che ricevette durante la sua tappa russa (al contrario degli altalenanti umori del pubblico occidentale) sia la soluzione di questo dissidio, che lo portò ad una adesione entusiastica al nuovo impegno politico di comunicazione artistica che il realismo socialista richiedeva ai compositori sovietici.
In questo periodo ricordiamo la sua abilità nel rinverdire il balletto caikovskiano e la sua proficua collaborazione col regista Ejzenstein, a cui fornì le musiche per i suoi film Aleksandr Nievskij e Ivan il Terribile.

Tratto da STORIA DELLA MUSICA di Gherardo Fabretti
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