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Il metodo Nu Shu, scrittura delle donne

Il metodo Nu Shu, scrittura delle donne

Persino la Yourcenar scrive che al posto di Adriano non avrebbe potuto esserci Plotina, perché troppo segreta e limitata la vita di una donna. Ciò non vuol dire che non si possano trovare in ogni epoca degli esempi di donne capaci di dare alla loro parola potere di significativo e forza evocativa. Pensiamo ad Angela Merici (1474 – 1540) , religiosa italiana, fondatrice della Compagnia delle dimesse di sant'Orsola. Convinta che il maggior bisogno ai suoi tempi fosse quello di dare una migliore istruzione nei rudimenti della religione cattolica alle giovani ragazze, trasformò la sua casa in una scuola dove, a intervalli stabiliti, riuniva quotidianamente delle bambine di Desenzano e insegnava loro gli elementi fondamentali del Cristianesimo.
Purtroppo vincente è stata, invece, la diffusa convinzione dell'inaffidabilità della parola femminile, e per allargare il nostro sguardo al di fuori dell'Occidente pensiamo alla lingua Nu Shu, usata in Cina in una società fortemente votata al maschilismo, in cui l'uomo deteneva tutto il potere (lavoro, famiglia, pubblica amministrazione). Si sviluppò un linguaggio segreto delle donne, detto appunto Nu Shu, che diventò uno spazio intimo e riservato al mondo femmininile, ignorato e trascurato dagli uomini, e gelosamente custodito dalle donne in questa speciale 'sorellanza'. Per contrasto le donne che conoscevano il Nu Shu chiamavano la scrittura cinese "Nan Shu", cioè scrittura dei maschi. Il linguaggio segreto delle donne portava alla formazione di una sub-cultura strettamente femminile: il Nu Shu trovava espressione nella vita quotidiana delle donne, veniva letto con una speciale forma di canto, durante le riunioni di donne in cucina e mentre ricamavano. Il Nu Shu aveva la funzione di rinforzare la sorellanza tra le donne unite nella stessa sorte, e di trasformare la vita quotidiana in una sorta di fuga colorata e profumata contrapposta al grigiore e all'odore pestilento di un quotidiano, altrimenti, insopportabile. Le parole segrete liberavano emozioni profonde e rivelavano il risentimento nei confronti della dominanza maschile e la malinconia di tutti i giorni. Il Nu Shu fu ignorato per secoli, e solo negli anni 50 in Cina si prestò grande attenzione ad esso: si temeva che si trattasse di un codice segreto per lo spionaggio internazionale e ciò spinse i servizi segreti ad indagare, suscitando un grande interesse che coinvolse le migliori accademie del paese. Furono consultati i migliori linguisti ma nessuno degli esperti fu in grado di decifrare il Nu Shu.
Solo negli anni 80 il sistema di scrittura fu riconosciuto come Nu Shu, che significa, per l'appunto, "scrittura delle donne". Questa scrittura è composta da 7.000 caratteri e si differenzia molto dalla scrittura cinese i cui caratteri sono di forma quadrata, con linee dritte. Il Nu Shu è, invece, scritto con forme curvilinee e le donne spesso ricamavano i caratteri Nu Shu sui vestiti come se fossero dei disegni.
Il tema dell'inaffidabilità della parola femminile è molto presente anche nella storia della cultura occidentale, dove la costruzione di una figura femminile immaginaria, privata della sua reale soggettività, si è configurata di frequente come il luogo simbolico di uno scontro di etiche, prevalentemente agito al maschile. Pensiamo ad esempio ai trattati educativi in clima controriformista.
La potenzialità eretica di una parola che in definitiva rischia di sfuggire al controllo maschile può rappresentare forse la chiave interpretativa di forme di ostruzionismo che si sono manifestate in epoche successive. Pensiamo alla polemica sul codice comunicativo delle donne aristocratiche nei salotti settecenteschi, bollate anche dai laici più progressisti come forme di civetteria per raggirare e tenere in pugno gli ingenui uomini, da reprimere in nome dell'antico pudore, che evidentemente non era appannaggio solo dei cattolici reazionari.
Sorprendenti sono poi le motivazioni, in anni di esaltazione della potenza simbolica della maternità, sulla base delle quali venne negata nell'Italia post – unitaria l'iscrizione all'Albo degli avvocati a Lidia Poett. Stesso destino per Teresa Labriola nel 1912. Giustificazioni? Inconsistenza del pensiero femminile e fragilità delle membra. Solo nel 1877, poi, grazie alla legge Morelli, le donne poterono comparire come testimoni negli Atti pubblici, considerate fino ad allora dalla legge come soggetti creduloni e facilmente ingannabili. Del resto il ruolo di testimone era sinonimo di piena parità nel godimento dei diritti civili e politici, diritti quest'ultimi da cui le donne saranno escluse fino al 1946.
Il cammino degli studi è certamente ancora lungo e bisogna tenersi lontani dalle tendenze a proporre ambiti conoscitivi destinati ad approfondire la storia dell'istruzione e dell'educazione femmiinile in spazi che non facciano parte di percorsi di ricerca più ampi e globali. Si deve, del resto, allo sguardo femminile sulla storia, la fine di quella inutile dicotomia tra ragione e sentimento che per molto tempo non ha permesso una epistemologia più completa, fatta di entrambe le dimensioni.

Tratto da STORIA DELLA PEDAGOGIA di Gherardo Fabretti
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