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Locke 1632 – 1704: trattati sul governo


La prima parte dei due trattati sul governo è dedicata alla confutazione di Filmer che in uno scritto aveva riformulato la dottrina della istituzione divina del potere del re, ricollegandolo alla signoria che Adamo aveva su tutte le cose e soprattutto sui suoi figli in quanto da lui generati. Il potere divino dei re ha un riscontro con il potere che il padre esercita sui figli: come l’unità della famiglia si fonda sul potere del padre, così la società politica si fonda sul potere del monarca.
La critica di Locke al pensiero di Filmer dice che è impossibile giustificare il potere sovrano sulla base del diritto paterno di Adamo alla luce della Sacra Scrittura in quanto sono tanti e tali i fatti che caratterizzano la storia di Israele che non si riesce a vedere come possa sussistere una continuità di potere tra Adamo e tutti gli altri re di cui parla l’antico testamento. È impossibile trovare linee sicure per ricostruire la linea primogenita della discendenza di Adamo alla quale possa essere riconosciuto il diritto di succedere nel potere assoluto al progenitore.
Se non vogliamo affermare che il governo è espressione della forza e che gli uomini vivono come animali tra i quali il potere è detenuto dal più forte dobbiamo ritrovare un fondamento umano al potere politico. Il potere politico deve essere distinto dalle altre forme di potere. Il potere politico deve essere definito come il diritto di far leggi con penalità, per il regolamento della proprietà, nella difesa della società politica da offese straniere per il bene pubblico.
Il potere politico è la conseguenza della costituzione della società politica.
Lo stato di natura è la condizione prima alla quale dobbiamo riportare l’individuo per rendersi conto di ciò che è effettivamente. Nello stato di natura l’individuo si comporta secondo le sue facoltà costitutive ed uniformandosi alle regole che derivano dalla legge di natura la quale non può che coincidere con la ragione dell’uomo. Lo stato di natura è caratterizzato dalla libertà di ciascuno nel rispetto della regola che ogni individuo esprime un potere uguale a quello degli altri e che questo potere è finalizzato alla conservazione di ciascun individuo. Libertà e uguaglianza sono i principi dello stato di natura.
Il principio di libertà e uguaglianza nello stato di natura sancisce l’obbligo per ciascuno di non violare la sfera dell’autonomia e dell’indipendenza dell’altro e non arrecare danno ai beni che ineriscono l’individuo: vita, salute, libertà, possesso di cose. Ogni individuo nello stato di natura può respingere l’offesa dell’altro con la forza.
Distinzione tra forza e violenza: la forza è volta alla difesa e alla restaurazione della legge di natura che sancisce la coesistenza dei singoli nel rispetto della libertà dell’uguaglianza. La violenza è diretta a offendere e comprimere l’autonomia dei singoli.
Mentre per Locke lo scontro tra individui implica la difesa e la restaurazione del diritto di natura, per Hobbes lo stato di natura è la manifestazione di un assoluta volontà di potenza degli individui, senza la possibilità di individuare alcun criterio di giustizia. Hobbes dice che non sempre nello stato di natura vince chi resiste a un ingiusta aggressione per cui la vittoria non può essere assunta come criterio di giustizia. Ma Locke considera solo il caso in cui l’aggredito sia riuscito a sconfiggere il suo aggressore e ritiene che i conflitti allo stato di natura non possono che terminare con la vittoria della forza sulla violenza.
La schiavitù, il potere che il signore esercita sul servo si fonda sulla forza giusta: nello stato di natura è lecito uccidere l’aggressore che abbia attentato alla nostra vita oppure conservarlo in vita in cambio di servizi che deve prestarci. Il rapporto servo-padrone appartiene alla società naturale e non può essere considerato come presupposto del potere politico.

Tratto da STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHE di Filippo Amelotti
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