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Mazzini e la questione sociale


All’interno della nazione si risolvono le distinzioni delle classi. La questione sociale non può essere disgiunta da quella della unità e dell’indipendenza nazionale dei popoli. Egli sottolinea il nesso tra la questione sociale e politica. L’una non può essere separata dall’altra. Non c’è questione politica che non abbia posto l’esigenza di adeguati mutamenti sociali così come non c’è riforma sociale che non implichi idonee garanzie di libertà e politica civile.
Riconduce il socialismo e il comunismo alla categoria dell’utile e quindi della felicita individuale.
L’attuazione della formula comunista, a ciascuno secondo i suoi bisogni , implica una predeterminazione del sistema dei bisogni sulla base di un rigido controllo burocratico e governativo, sì che in ogni individuo la sua libertà, responsabilità, merito individuale, l’incessante aspirazione che lo sprona a nuovi metodi di progresso e di vita svaniscono interamente.

La questione sociale deve essere risolta nell’ambito della democrazia repubblicana con il sistema delle libertà e dei diritti che essi garantiscono. Tale fine può essere garantito mediante l’associazione che consente agli individui di aumentare le loro capacità ed energie in modo da conseguire il miglioramento delle loro condizioni materiali e il loro progresso intellettuale e morale. L’associazione rende possibile l’unione del capitale e del lavoro nelle stesse mani.
Al sistema produttivo fondato sul capitale, sulle capacità, sul lavoro, cioè sul monopolio dei mezzi di produzione da parte dei capitalisti, bisogna sostituire il nuovo sistema in cui il produttore è anche proprietario dei capitali per una giusta ripartizione delle ricchezze prodotte. La nuova organizzazione produttiva deve garantire la formazione di un capitale comune la cui destinazione deve essere sottratta alle libere decisioni dei singoli. Ne risulta un sistema produttivo che fondandosi sulle libere scelte dei singoli mantiene i principi della libera concorrenza e della mobilità del lavoro.
Critica l’economia programmata, centralizzata e diretta allo stato, unico proprietario dei mezzi di produzione. La conseguenza è l’eliminazione dello spirito di iniziativa e ogni incentivo al miglioramento delle condizioni delle classi lavoratrici.
La proprietà privata deve essere considerata come la necessaria garanzia dell’attività svolta dall’individuo. La proprietà è il segno della sua produttività. Non bisogna abolire la proprietà perché è di pochi ma bisogna aprire la via perché i molti possano acquistarla.

Tratto da STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHE di Filippo Amelotti
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