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L'iconografia di Schlosser


Schlosser invece aveva abbandonato le letture formalistiche riegliane, presentando accanto all'opera in sé il contesto storico culturale nel quale essa si manifesta, commentata con ampie esplorazioni e riflessioni puntate verso differenti sfere della vita culturale: musica, filosofia, scienza, religione. Con Schlosser l'opera d'arte termina di essere un fatto isolato da considerarsi solo sotto il profilo dell'evoluzione storico formale; diventa un oggetto più complesso, che vive in uno spazio storico più articolato. L'arte non sarà astratto contenuto, pensava, ma non è nemmeno pura forma, che è astratta anch'essa. L'arte è forma articolata in linguaggio.
Elemento portante di questo nuovo modo di approcciarsi all'oggetto d'arte, storico e antiformalista, è l'iconografia. L'iconografia non è intesa da Schlosser nel senso tradizionale della parola, classificatorio, ma in senso ricognitivo. Individuare e ricostruire miti e favole collettive, viventi e operanti in una società, diverse e intrecciantisi, che caratterizzano una situazione e un'epoca e ne determinano area e periodo. Tempo dopo Schlosser definì più puntualmente i suoi studi di iconografia comparata come saggi di “storia del linguaggio”, come a sottolineare  il significato attivo e comunicante, non meramente schematico ed ereditario, della iconografia, considerata alla stregua di quello che in linguistica viene definita espressione collettiva.

Tratto da STORIA E CRITICA D'ARTE di Gherardo Fabretti
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