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Il regime del matrimonio degli ebrei siciliani

Il regime del matrimonio degli ebrei siciliani


Il matrimonio tra cugini non serve solo per conservare e risparmiare il sangue, ma ha anche effetti economici immediati perché corregge le conseguenze delle migrazioni, ristabilisce la solidarietà tra rami separati, rafforza la coabitazione nella casa paterna. L'estrema mobilità degli ebrei siciliani si comprende innanzitutto grazie alla dispersione onomastica delle famiglie più importanti e le domande di sgravi e le lettere di protezione lo confermano.
I documenti notarili confermano questa dispersione attraverso l'arcipelago delle piccole comunità e rivelano il ruolo economico della lontananza residenziale che si accompagna all'associazione residenziale tra fratelli. Endogamia di gruppo ed esogamia locale caratterizzano lo strato superiore degli ebrei più facoltosi e servono a tessere legami economici, combinandosi con la migrazione dei giovani anche alla ricerca di una buona dote. La migrazione personale è comunque frequente e migrazione e circolazione matrimoniale comportano situazioni complesse come quelle relative ad eredità e beni dotali lontani dal luogo di residenza, che vanno affidati a procuratori, parenti e amici.
Il matrimonio è considerato un obbligo sacro e si impone naturalmente, anche come rimedio ai cattivi costumi e alla sodomia. Il ricorso alle unioni precoci era il classico rimedio a episodi di sospetta omosessualità. Il matrimonio dei ragazzi sta a indicare tanto l'autorità paterna quanto la preoccupazione di non concedere nulla che possa in qualche modo attentare alla purezza, mantenendo la separazione dei sessi fino al matrimonio, almeno negli ambienti agiati che non devono preoccuparsi di fare lavorare i giovani. Così come per i cristiani, anche per gli ebrei dotare una povera ragazza anonima è considerato un atto meritorio, permettendole così di proteggere la sua verginità.
La procedura matrimoniale ebraica sembra essere divisa in erusin, la prima fase del matrimonio, che si completa con una seconda fase detta nissuin. Per fidanzarsi con la donna, l'uomo le consegna, alla presenza di testimoni, un oggetto di valore (kiddushin). A questo punto la coppia non può ancora avere rapporti coniugali, tuttavia è considerata legalmente sposata da molti punti di vista e la donna ha bisogno di un divorzio prima di potersi risposare.
L'ammontare della dote stabilita mette in luce l'importanza dell'atto matrimoniale, che interessa l'intera ascendenza e serve a distinguere le classi sociali. L'ambiente cristiano ha influenzato le procedure e il regime coniugale degli ebrei siciliani soprattutto nella forma, come la comunione dei beni e la pubblicizzazione del rito matrimoniale, che prima era un atto privato.
Si è tentata spesso una statistica della nuzialità e della natalità degli ebrei di Palermo basata sulle cifre della gabella della Jocularia imposta sulle feste: un tarì per ogni bambino, un carlino per ogni bambina, quattro tarì per ogni festa di nozze e se ne è dedotta una natalità abbastanza controllata.
C'era certamente una rivalità a volte violenta tra i lignaggi. Gli insulti piovono e i processi che ne seguono impoveriscono le giudecche che rivendicano maggior tempo per l'arbitraggio. Abbiamo insomma una immagina battagliera del mondo ebraico siciliano. Anche la presenza di schiavi rimanda all'ostentazione e al prestigio, oltre alla necessità di pesanti lavori manuali nella conduzione dell'ambiente domestico. Gli schiavi potevano essere solo pagani e andavano gratuitamente liberati qualora intendessero convertirsi al cristianesimo.

Tratto da STORIA MEDIEVALE di Gherardo Fabretti
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