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I miti

I miti



I miti sugli animali sono gli unici a essere raccontati casualmente e modificati liberamente sulla loro lunghezza e complessità. Nettamente diverso è il trattamento di un’altra serie di miti, il ciclo di storie Trickster su Newelesu. Tali vengono normalmente raccontate da uomini, di notte, nella casa comunitaria, la long house. Un contastorie particolarmente bravo riesce a tenere delle performance lunghe e intense facendo uso di improvvisazione, voci speciali e altri effetti sonori per rafforzare e sviluppare il tema centrale.
Volendo cercare di dare un senso alla stranezza di questi miti kaluli pensando a esempi analoghi nella cultura popolare americana o della storia naturale, magari riflettendo sulla storia dell’uccello muni e sul collegamento fra uccelli e tristezza possono venire in mente nomi di animali quali la Tortora piangente o la Parula lamentosa, i cui nomi fanno pensare a un riferimento alla tristezza evocata dai loro richiami, melodie discendenti e in falsetto. Per Steven Feld però, la compressione simbolica in miti kaluli come quello del bambino che diventò uccello muni, era qualcosa di più, qualcosa che contenesse una chiave importante per comprendere la valenza sociale dei suoni nell’espressione kaluli.

Il primo passo da compiere era quello di individuare e analizzare i temi etnografici che compongono il mito.
Qui, i temi erano 7: il maschile, il femminile, il rapporto fra ade, il cibo, la fame e la reciprocità, la tristezza, la perdita e l’abbandono, gli uccelli, il lamento e la canzone.
Le modalità sonore sono rappresentazioni espressive di due concetti fondamentali dei kaluli: il sentimento e la supplica.

Il maschile il femminile e il rapporto fra ade: nella società kaluli i ruoli sessuali sono nettamente distinti. Tuttavia il modello del Bosavi si differenzia da quello delle Highlands di Paua Nuova Guinea dove le realtà separate di uomini e donne sono segnate da antagonismo e aperta ostilità. Fra i kaluli le interazioni tendono più all’equi librio e alla complementarietà, in sintonia con la naturale generalmente egualitaria della loro società. Dopo il matrimonio la coppia di stabilisce nella comunità della long house del marito, iniziando ad avere figli poco dopo, i figli nascono a intervalli di 2 o 3 anni di distanza, per via dei tabù sul sesso per i 2 anni successivi al parto. I figli che nascono da queste unioni si chiamano fra loro AO fratello e ADO sorella. Quando nasce il primogenito la madre ha la quasi totale responsabilità della cura tenendolo sempre con lei. Quando la donna dà alla luce altri bambini i fligli più grandi la aiutano a badare, nutrire e curare i fratellini e le sorelline mentre lei pensa al neonato. Dai due ai sette anni fratelli e sorelle passano molto tempo insieme. La socializzazione basata sul sesso del figlio o della figlia inizia da subito: le madri dicono ai figli maschi che diventeranno forti, quando i bambini crescono le madri li assistono in giochi e routine che richiedono asserzione di sè e aggressività. I maschietti imparano ad essere esigenti e persistenti fin dalla tenera età, attraverso le interazioni sociali imparano a supplicare, lusingare e fare capricci finchè non ottengono ciò che vogliono o ciò che pensano sia loro dovuto. Le femminucce invece vengono distolte da comportamenti da femminucce indifese il più presto possibile, le madri le incoraggiano ad adempiere a tutti quei compiti e attività di servizio e aiuto agli altri. Particolare riferimento nel caso della sorella maggiore la quale si abitua a considerare le necessità e i desideri degli altri prima dei suoi, specialmente quando l’altro è un neonato. Per quanto riguarda il concetto di ade, esso implica un rapporto costruito socialmente attraverso la socializzazione basata sui ruoli sessuali e gli assunti dei kaluli riguardo il comportamento appropriato fra sorelle maggiori e fratelli minori. Diversamente da AO e ADO, Ade è un termine reciproco non identificabile con termine di parentela, semmai, deriva dalle aspettative sociali insegnate come parte della socializzazione basata sul sesso e sul genere.

Ritornando al mito, vi è nella scena iniziale una frattura dell’ordine sociale, generata da una violazione diretta del comportamento fra ade, il bambino prega la sorella di dargli del cibo, ma lei glielo nega pensando ad altri prima che a lui.
Ribadendo il suo rifiuto porta la situazione alla massima anormalità; in pratica questa sequenza di eventi va contro tutte le norme di comportamento e pratica sociali dei kaluli. Il modo in cui il bambino si appella alla sorella, piagnucolando e supplicando, rappresenta una routine sociolinguistica fondamentale nel Bosavi, dire in modo implorante “Non ho X” è una strategia verbale che abbrevia la discussione realizzando l’obiettivo di chi parla ovvero ottenere dall’interlocutore una cosa o un servizio. Normalmente questa strategia pone immediatamente fine alla discussione, in quanto dire Non ho X per i kaluli significa essenzialmente dire in modo diretto 3 cose: hai qualcosa che io non ho, lo voglio e ne ho diritto, devi darmelo ma anche provare pena per me perché non ne ho.

Tratto da SUONO E SENTIMENTO di Marianna Tesoriero
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