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Il coro



Per quanto riguarda il coro, all’inizio canta il cantante da solo, poi parte il coro che ripete ciascuna frase del cantante un secondo dopo, lo stesso testo e le stesse note del cantante. Questa forma rigida di imitazione si chiama tiab kalu “uomini che cantano in coro”. Quando i kaluli parlano dell’organizzazione cantante\coro usano analogie di uccelli e acqua spiegando appunto che come gli uccelli e l’acqua che scorre, loro non cantano insieme, l’elemento importante è la continuità del flusso nella sovrapposizione.
Per quanto riguarda la messa in scena, tale è la messa a fuoco grazie alla quale le metafore di uccelli e acqua raggiungono la loro massima espressione. Ciò che rende un’esecuzione commovente per i kaluli non è solo la forma ma anche la drammaticità, l’entusiasmo, le aspettative che aumentano fino a culminare nella performance. All’inizio della cerimonia piomba il silenzio, gisalo viene cantato solo nelle long house, al chiuso e al buio, la presenza del suono nello spazio buio viene messa intensamente a fuoco dall’attenzione silenziosa del pubblico. L’interazione fra suono, spazio e oscurità è cruciale per l’indurimento, aspettativa e la struttura culminante degli eventi. La percezione di parole e suoni ipnotici fa avvicinare la foresta sospendendo gli ascoltatori in uno stato liminale. Nella long house come nella foresta il senso dominante non è la vista ma l’udito. Per i kaluli la messa in scena crea le condizioni necessarie alla forza evocativa della canzone. La canzone è suono di uccelli e parole di uccelli, la sua melodia è costituita dalle note dell’uccello muni e il suo testo dalle parole sonore di uccelli. La canzone è comunicazione dal punto di vista di un uccello, comunicazione da parte di qualcuno che diventa uccello. La messa in scena è quell’insieme di allestimenti associati a gisalo - suono, oscurità, spazio e costume - che prepara il pubblico a vedere e ascoltare il cantante\danzatore come se fosse un uccello.

Tratto da SUONO E SENTIMENTO di Marianna Tesoriero
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