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Il rapporto tra filologia ed ermeneutica


È questa la premessa della filologia che l’ermeneutica avrebbe a poco a poco infranto. Com’era possibile, infatti, ricostruire l’intenzione originaria? Schleiermacher – qui stava il suo romanticismo – descriveva un metodo basato sulla “simpatia” o sulla “divinazione”, poi chiamato “circolo ermeneutico”, vale a dire una corrispondenza biunivoca tra la comprensione di un singolo punto del testo e la comprensione del testo nel suo insieme. La comprensione di ogni singolo punto getta luce sull'intero testo, mentre, d'altra parte, la comprensione dell'insieme agevola quella delle singole parti. È una ipotesi problematica perché dà per scontato che un testo sia globalmente coerente, e di solito non lo è. Ma il paradosso più imbarazzante è un altro: la pretesa di colmare lo scarto storico tra il passato (il testo) e il presente (l’interpretazione) in un colpo solo.
Wilhelm Dilthey (1833 – 1911) e poi Edmund Husserl (1859 – 1838) e Martin Heidegger (1889 – 1976) ridurranno queste pretese di esaustività contrapponendo alla spiegazione di un testo la più modesta comprensione. È infatti impossibile ritornare al passato rivivendolo in modo oggettivo, poiché l'esistenza presente e contingente dell'uomo, come aveva scritto Heidegger, è il luogo in cui si forma necessariamente una pre-comprensione della realtà, un pregiudizio che viene a contaminare necessariamente anche l'idea del passato. Ecco perché è impossibile ritornare oggettivamente al passato quando il presente genera necessariamente una pre-comprensione che rende la visione del passato qualcosa di diverso dal passato stesso. La nostra precomprensione è inseparabile dalla nostra esistenza e dal nostro esserci (Dasein), ci impedisce dunque di sfuggire alla specifica situazione storica cui ci troviamo per capire l’altro.
Hans Georg Gadamer, in Verità e metodo, riprende questo lungo dibattito. Qual è il senso di un testo? Che importanza ha, per il senso, l’intenzione d’autore? Possiamo capire testi che ci sono storicamente o culturalmente estranei? Ogni comprensione è connessa alla nostra situazione storica?
Le intenzioni dell’autore non esauriscono mai il significato del suo testo. Non possiamo ricostruire le condizioni originarie di un testo perché la vita che viene restaurata, recuperata dal suo stato di estraneità, non è più la vita originaria. Quando il testo passa da un contesto storico, o culturale, ad un altro gli vengono attribuiti nuovo significati, non previsti né dall’autore né dai primi lettori. Qualunque interpretazione è dunque contestuale, dipende dai criteri relativi al contesto in cui ha luogo, e non è possibile comprendere o conoscere un testo in se stesso.
Qualunque interpretazione, dopo Heidegger, viene concepita come un dialogo tra passato e presente, o come una dialettica della domanda e della risposta. Non dobbiamo più colmare la distanza tra l’interprete e il testo, né per spiegare né per comprendere, ma prendendo le vesti della fusione di orizzonti diventa un aspetto ineluttabile e produttivo dell’intepretazione.
In quanto atto, da un lato fa sì che l’interprete acquisisca consapevolezza delle idee anticipate, dall’altro conserva il passato nel presente. La risposta fornita dal testo dipende dalla domanda che gli poniamo dal nostro punto di vista storico, ma anche dalla nostra capacità di ricostruire la domanda a cui il testo risponde, perché esso dialoga anche con la sua propria storia.
Il senso di un testo, quindi, non solo non è esaurito dall’intenzione, e non coincide con essa – vale a dire che non può essere ridotto al senso che ha per l’autore e per i suoi contemporanei – ma deve anche includere la storia della critica che tutti i lettori di tutti i tempi ne hanno fatto, la sua ricezione passata, presente e futura.

Tratto da TEORIA DELLA LETTERATURA di Gherardo Fabretti
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