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Equilibrio di potenza

politica classica dell’equilibrio di potenza: è la politica più frequente nelle Storie, in base alla quale Stati più deboli ed esposti fanno fronte comune per affrontare insieme la minaccia. Ad esempio, i Corinzi invocano questo equilibrio (I.122, gli Ateniesi posseggono forze in campo bastanti non solo a contrastarci in massa, ma, evidentemente, a dominare ogni nostra città, di per sé considerata. Quindi, se non li affronteremo in un unico blocco, nazione con nazione, città con città, forti di un deciso e unico volere, faranno leva sulla nostra divisione e ci soggiogheranno, uno per uno, senza sforzo), così come lo invocano i Mitilenesi quando defezionano e i Siracusani, quando invitano tutti i Sicilioti ad unirsi (IV.60, se ci assumiamo noi stessi il compito di sollevare una guerra spingendoli ad intervenire, se non solo ci distruggiamo a spese nostre, ma tracciamo loro, piana e dritta, la via del dominio, aspetteranno con ansia di vederci all’ultimo stadio dello sfinimento). 

Questi continui allineamenti contro il nemico comune prescindono da affinità etniche e ideologiche, ma sono dettate esclusivamente dal rapporto delle forze e dal timore che questo calcolo comporta: 
− il fattore etnico viene spesso invocato con chiari fini strumentali (dagli Ateniesi in Sicilia, da Segesta, da Eufemo a Camarina, dai Meli che sperano nell’aiuto spartano); in realtà, i fini sono ben altri, come ribadito spesso da Ermocrate in occasione delle vicende siciliane; 
− dal punto di vista ideologico, vediamo che queste alleanze non temperano assolutamente la conflittualità tra gli Stati, proprio perché si tratta di una collaborazione a termine, con un obiettivo preciso (il deferimento del nemico comune), ma basta. In tutte le Storie è chiara la ciclicità di tutte queste vicende: una volta sconfitto un nemico, ne comparirà un altro. Non c’è l’idea di un progresso verso un ordine internazionale stabile e duraturo, ma è comunque un assetto precario per definizione. Non a caso, Ermocrate, quando esorta i Sicilioti alla pace, afferma che la guerra è un male (IV.59), ma poi riconosce che comunque combatteremo, io credo, e ricorreremo alla pace quando sarà opportuno, ma sempre tra noi (IV.64). 

Tratto da TEORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
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