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Il dilemma della sicurezza tra avversari

In particolare, il dilemma della sicurezza delle alleanze interagisce strettamente con il dilemma della sicurezza tra avversari. 
Il dilemma della sicurezza presenta, in generale, 2 alternative insoddisfacenti: 
− non sopravvivere 
− intraprendere una costosa competizione di sicurezza. 

Queste 2 alternative, però, non sono insoddisfacenti allo stesso modo, dato che “non sopravvivere” è decisamente l’alternativa peggiore ⇒ in teoria, gli Stati possono scegliere tra 2 alternative, ma, nella pratica, solo una viene sempre scelta. 
Secondo Snyder, per spiegare bene questa dicotomia sono di particolare aiuto 2 concetti introdotti da Jervis, che delineano 2 diverse strategie (opposte) adottabili nei confronti dell’avversario: 
− teoria della deterrenza = strategia di durezza e fermezza. In base a questa teoria, se uno si dimostra fermo, l’avversario cercherà un accordo, mentre se si adotterà una strategia conciliatrice, l’avversario, vedendola come un segno di debolezza, avanzerà ulteriori richieste. 
− teoria della spirale = strategia di accomodamento. In base a questa teoria, una strategia di fermezza spaventerà o comunque provocherà l’avversario, portandolo ad adottare a sua volta una strategia più rigida. Mettendo in moto un circolo vizioso fatto di timori reciproci, mosse e contromosse che minacciano di sfuggire al controllo delle 2 parti, mentre una strategia di accomodamento persuaderà l’avversario delle buone intenzioni dell’altro, inducendolo quindi ad adottare una strategia di accomodamento reciproco. 

Secondo Jervis, la scelta tra le 2 strategie dipenderà notevolmente dal tipo di avversario si stima di avere di fronte: 
− se si ritiene che l’avversario sia particolarmente aggressivo ⇒ servirà una ferma strategia di deterrenza per bloccarlo; 
− se si ritiene che l’avversario non sia particolarmente aggressivo ⇒ una strategia più accomodante sarà giudicata migliore. 

TUTTAVIA, dato che non sempre si è in grado di capire se l’avversario è aggressivo o no, la scelta politica sarà particolarmente difficile. 
Come già detto, il dilemma della sicurezza delle alleanze e quello tra avversari sono tra loro collegati. Ma, afferma Snyder, essi sono anche analoghi: 
− contenere l’alleato = strategia di deterrenza nei confronti dell’avversario: sono le strategie più “dure” che possono innescare, in entrambi i casi, una spirale: una spirale di abbandono tra alleati = una spirale di ostilità e insicurezza tra avversari; 
− appoggiare l’alleato, difendendo i propri interessi = strategia di accomodamento, sia per nascondere la propria debolezza, sia in vista di ulteriori guadagni. 

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Andando a combinare i 2 dilemmi, otterremo varie situazioni: 
− una strategia di fermezza nei confronti dell’avversario tenderà a rassicurare l’alleato, riducendo il rischio di abbandono; aumenterebbe, però, il rischio di intrappolamento, rendendo l’alleato particolarmente intransigente, sicuro di essere appoggiato; 
− una strategia di accomodamento nei confronti dell’avversario avrà l’effetto di contenere l’alleato, riducendo il rischio di intrappolamento. Tuttavia, vedendo l’alleanza più debole, l’alleato potrà essere spinto a dubitare della lealtà dell’altro, e a cercare dunque partner alternativi ⇒ il rischio di abbandono si alza. 
− un pieno appoggio all’alleato avrà un effetto dissuasivo o coercitivo sull’alleato, (secondo il modello della deterrenza), ma questa compattezza può anche intimidire l’avversario, al punto da spingerlo a sua volta a radicalizzare lo scontro (secondo il modello della spirale); 
− prendere le distanze dall’alleato, stempera il tono del confronto con l’avversario, diminuendo così le probabilità di una escalation; ma anche l’effetto dissuasivo sarà ridotto, e l’avversario, notando l’atteggiamento prudente della controparte, può essere tentato a chiedere di più. 

TUTTAVIA, secondo Cesa, questo risultato, seppur particolarmente acuto, è ottenuto al prezzo di alcune semplificazioni. A guardar bene, infatti, non è detto né che una strategia di fermezza con l’avversario abbia l’effetto di rassicurare l’alleato, né che un atteggiamento conciliatorio con l’avversario conduca alla defezione dell’alleato. In realtà, la fermezza con l’avversario può persino avere l’effetto opposto a quello ipotizzato da Snyder: lungi dal tranquillizzare l’alleato, essa può preoccuparlo ancora di più e fargli concludere che il rischio legato all’alleanza è troppo alto ⇒ una politica intransigente con l’avversario può mettere l’alleato nelle condizioni tanto di intrappolarci quanto di abbandonarci. 
Parimenti, un atteggiamento conciliatorio con l’avversario induce l’alleato all’abbandono solo se questi può fare a meno del nostro appoggio o, più realisticamente, ha serie alternative di riallineamento. 
Anche le conseguenze che la politica adottata con l’alleato può avere sui rapporti con l’avversario si prestano, secondo Cesa, ad alcune considerazioni. Esiste infatti una terza possibilità che Snyder, nella sua concezione tradizionale delle alleanze, non coglie = il mancato appoggio all’alleato sottende un accordo con l’avversario a spese dell’alleato medesimo, tale da lasciare quest’ultimo in balìa del nemico o avviluppato sempre più strettamente nell’alleanza che lo ha appena danneggiato (il Tertius Dolens). 
Ovviamente, non tutte le alleanze risentono delle stesse tensioni e delle medesime ambiguità. Si pone allora il problema di distinguere tra alleanze. 
Come sappiamo, nella letteratura specializzata la tendenza più diffusa è quella di concentrarsi sulle sole alleanze difensive = concluse in vista di una minaccia comune. 
MA questo atteggiamento, oltre a precludere un esame significativo dei conflitti di potere tra gli alleati, impedisce anche di gettare lo sguardo su tutte quelle alleanze che non si prestano ad essere lette in una chiave strettamente difensiva. 
Non mancano, va da sé, le classificazioni; ma si tratta spesso di sforzi modesti che tendono ad esaurirsi in semplici elenchi di tipi.

Tratto da TEORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
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